Recensione in anteprima – Quinto capitolo della saga iniziata nel 1981 e che ha contribuito a lanciare Harrison Ford nell’Olimpo degli attori hollywoodiani. Primo film non diretto da Steven Spielberg e non scritto (anche) da George Lucas. Primo film della saga distribuito da Disney dopo l’acquisizione della Lucasfilms che ha comunque lasciato i diritti distributivi dei primi quattro a Paramount. In sala dal 28 giugno.
La storia, tra passato e presente
Indiana Jones (Harrison Ford) ha appeso il cappello e da qualche anno insegna archeologia all’università di New York. In attesa di un divorzio, che pesa come il lutto del figlio, il professor Jones si trascina al lavoro e dentro una vita ordinaria ‘scossa’ soltanto dagli schiamazzi dei vicini. Alla vigilia della conquista della Luna, riceve la visita di Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), figlia di un vecchio amico ‘ucciso’ dalla sua ossessione: la macchina di Anticitera, congegno meccanico concepito da Archimede per trovare buchi temporali. La metà del quadrante riposa da anni negli archivi di Indiana Jones, dopo averlo sottratto ai nazisti sconfitti nel 1944.
Tornata dal suo passato, Helena vorrebbe recuperare il curioso reperto per venderlo a un’asta in Marocco. A pedinarla, bramando lo stesso bene, è Jürgen Voller (Mads Mikkelsen), ex nazista che ha partecipato al progetto Apollo 11 sotto falso nome. (Ab)battuto anni prima da Indiana Jones su un treno in corsa, vuole rintracciare le due parti del quadrante e viaggiare nel tempo cambiando il corso della Storia. Una sparatoria in piena ‘parata lunare’ avvia la ricerca del prezioso oggetto. Tra Marocco e Sicilia, nazisti e antichi romani, l’avventura è servita.
L’inizio del film è un tuffo nel 1944. Con una magia digitale anche di buona fattura ma non perfetta Harrison Ford diviene, a oltre 80 anni, un giovane Indiana Jones sulla quarantina. Il presente invece è il 1969, Indiana Jones ha 70 anni e il peso della sua imminente pensione, della sua vita ormai troppo normale sono tutti descritti con immediato impatto dalle scene in cui si vede un personaggio molto lontano dai fasti e splendori di decenni addietro.
Riaccendere il fuoco
Il regista James Mangold, in questo film anche sceneggiatore, non è nuovo a operazioni di revival nostalgico. E’ stato alla direzione dell’ottimo “Logan”, ultimo capitolo dedicato a Wolverine che chiude magnificamente una prima fase dell’avventura cinematografica del supereroe interpretato da Hugh Jackman. Inoltre ha riportato sul grande schermo l’epica lotta sportiva del 1966 tra Ford e Ferrari a Le Mans con “Le Mans ’66, la grande sfida”. Due opere, tra le tante del regista, che rispettano non solo la storia reale avvenuta, ma, come in questo caso anche la tradizione di film all’interno di una saga che ha appassionato milioni di fan in tutto il mondo attraverso diverse decadi.
“Indiana Jones e il quadrante del destino” riesce dove, probabilmente, il precedente capitolo, il tanto vituperato quarto film, non è riuscito ad andare a segno. Non è un caso che gran parte della storia di “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo” riguardante i personaggi viene ignorata o semplicemente azzerata con morti, divorzi, etc.
Qui, si riaccende un fuoco, una fiammella sempre più potente che, nel corso del film riporta l’amatissimo personaggio a riprendere cappello e frusta per andare alla ricerca di quella “X” che non indica quasi mai il punto dove scavare ma che indica spesso il punto dal quale partire per comprendere storie, enigmi e significati del passato.
Operazione riuscita pienamente a metà
L'”Indiana Jones” del 1981 è figlio cinematografico di quella nuova era hollywoodiana portata sul grande schermo anche da Spielberg e Lucas. Un’era rivolta all’azione, all’avventura, al fantastico. Opere rivolte molto spesso ad un pubblico giovane ma che con “Indiana” si indirizzavano ad un pubblico adulto e chiaramente più votato all’horror, al fantascientifico, all’occulto, il mistero, gli enigmi delle grandi civiltà del passato.
“Indiana Jones e il quadrante del destino” riporta un po’ quell’atmosfera. Certamente la riconoscibilissima colonna sonora di John Williams aiuta molto ma anche la parte finale ci restituisce quell’eroe non eroe che gran parte del pubblico ha amato. Il film non è all’altezza almeno dei primi tre capitoli della saga ma è sicuramente godibile.
Il budget speso, oltre 300 milioni risulta essere il più ampio e tra i più elevati in assoluto. Difficile comprendere se riuscirà a recuperare tutto quell’investimento. Le location sono molto belle e funzionali al racconto con una nostra Italia siciliana di fine anni 60 magnifica. Il cast è azzeccato e tra graditi ritorni si fanno spazio anche i nuovi volti. Phoebe Waller-Bridge, oltre ad essere una bella e brava attrice sembra essere l’erede perfetta di Indiana mentre il villain di turno è interpretato magistralmente da Mads Mikkelsen.
Un film da vedere non solo per gli appassionati. Una discreta conclusione di un’avventura durata più di 40 anni.
Voto: 6,6