Recensione in anteprima – Venezia ’23 – In concorso – Pablo Larraín porta in concorso a Venezia 80 il suo nuovo, drammatico, gotico e grottesco film sulla figura di Augusto Pinochet. Disponibile in pochissime sale a inizio settembre, uscirà sulla piattaforma streaming online Netflix il 15 settembre 2023.

Augusto Pinochet è stato un generale militare che a seguito di un colpo di stato in Cile nel 1973 ha instaurato una dittatura che si è macchiata di crimini contro l’umanità fino al 1990. La sua figura non è mai stata portata sul grande schermo.

Fino ad ora.

Vampiri

Augusto Pinochet (Jaime Vadell) e la moglie Lucìa (Gloria Münchmeyer) sono una coppia di anziani che vive in una villa barocca nel sud del Cile, a distanza dalla società irriconoscente. Pinochet non accetta di essere chiamato ladro, per lui molto peggio delle accuse di omicidio e crimini contro l’umanità. La fragilità e vulnerabilità di quel vecchio anziano sono però solo un’illusione. Sopra il Cile e le sue città aleggia infatti incontrastato sotto forma di vampiro e continua a sopravvivere grazie al sangue e ai cuori della popolazione che beve.

Augusto Pinochet non è più il dittatore del Cile dal 1990 ed è morto nel 2006.

O almeno così pensano tutti. In realtà Pablo Larraín ci svela che egli altro non è che una creatura demoniaca pluricentenaria, che si nutre di sangue e cuori umani per rimanere in vita e che può simulare la propria morte.

L’Augusto Pinochet di El Conde è nato nel diciottesimo secolo e ha già simulato la propria morte due volte: la prima dopo la rivoluzione francese e la seconda dopo essere stato deposto da dittatore del Cile e aver subito ingiuste accuse di crimini contro l’umanità. Trovate assurdo e originale questo pretesto per descrivere la figura del dittatore? Aspettate di vedere il film e vedrete che le meravigliose, irrazionali e satiriche invenzione narrative di El Conde non si esauriscono così in fretta.

La storia che perseguita

La storia, pare suggerire il regista cileno, non solo è ciclica e destinata a ripetersi ma lascia anche solchi incolmabili. Come dargli torto?

Le cicatrici che una dittatura decennale, spietata, disumana e abominevole lascia sul popolo di un paese sono cicatrici che si trasmettono in dote anche alle generazioni future. La figura di Pinochet mette le proprie radici in profondità nelle menti e nei cuori dei cileni che hanno vissuto o sentito di quegli anni di terrore militare. La metafora è semplice apparentemente: le radici non sono solo immaginarie ma l’influenza di Pinochet è ancora reale come un mostro assetato di sangue. Viene da chiedersi se l’influenza che una persona deceduta ancora esercita non sia poi così reale nonostante sia intangibile.

Decidere di portare per la prima volta al cinema la figura di Pinochet in questa forma e veste ha decisamente anche lo scopo di sfatare un tabù e iniziare ad alleviare il peso della stessa, mentre ci si assicura anche che non vengano dimenticati gli orrori che tale personaggio ha perpetrato ai danni della popolazione cilena.

Uno stile unico ma ripetitivo

Pablo Larraín è ormai un autore a tutti gli effetti. Possiede uno stile unico e riconoscibile ed è in grado di adattare la propria visione del cinema alle storie più disparate, attento sempre a dirigere con cura opere che non si possano definire banali. Dopo Spencer, sulla figura di Lady Diana, ancora ci troviamo in castelli e situazioni al di fuori della vita reale, del popolo e della quotidianità. Se in Spencer però il regista cileno aveva lo scopo di restituire il senso di angoscia e di alienazione nato nella mente di una donna trovatasi invischiata in un gioco di apparenze di cui non voleva fare parte, qui il regista vuole mostrare la figura di un mostro che le regole delle realtà le ha create e il cui obiettivo è finalmente quello di morire.

Con un bianco e nero di estrema eleganza e la satira horror, El Conde apre simbolicamente una mostra del cinema molto particolare, senza le star americane, che sembra farsi incubatore di storie intrise di mostri e dubbi etici.

Voto: 7

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