Recensione – 30 anni – Il 17 novembre 1988 usciva nelle sale italiane “Nuovo Cinema Paradiso”, il bellissimo film scritto e diretto da Giuseppe Tornatore. Premio Oscar come miglior film in lingua straniera, Gran Premio della Giuria a Cannes, due le versioni, una originale di 173 minuti e una internazionale di 123.

C’era una volta il Cinema Paradiso

Una telefonata sveglia nella notte romana l’affermato regista cinematografico Salvatore Di Vita (Jacques Perrin). Dal suo paese d’origine arriva la notizia che è venuto a mancare Alfredo. Tornare da dove è partito, per Salvatore, significa anche affrontare il passato.

Secondo dopoguerra a Giancaldo, un paesino della Sicilia. Il piccolo Salvatore, per tutti Totò (Salvatore Cascio), aspetta insieme alla madre (Antonella Attili) e alla sorella il ritorno del padre il quale, come moltissimi italiani, risulta disperso in guerra. La povertà, le difficoltà economiche e il dramma sociale che il conflitto ha lasciato segnano la vita di tutti. Ma Totò ha un luogo dove la sua fantasia e, i suoi sogni, possono diventare realtà: la sala del Cinema Paradiso.

Trascorre giornate intere a vedere film, spesso anche di nascosto dalla madre e grazie alla tenera complicità di Alfredo (Philippe Noiret), il proiezionista del cinema, che deve fare i conti anche col prete del paese, Padre Adelfio (Leopoldo Trieste), il quale non perde occasione per censurare i film con scene di baci appassionati. Ma, un giorno, un drammatico incendio devasta il Paradiso e con essa la vista di Alfredo, e segna probabilmente la fine dell’infanzia di Totò. Il Cinema viene rifondato dal ricco Spaccafico (Enzo Cannavale) che affida così al ragazzo il ruolo di proiezionista. Coi consigli di Alfredo, Totò cresce e, divenuto adolescente (Marco Lombardi), vive anche il primo, intensissimo amore. Per lui il futuro, però, non sarà sempre al Nuovo Cinema Paradiso

La cifra stilistica di Tornatore

Vincitore del Premio Oscar e del Golden Globe 1990 come Miglior Film straniero e di cinque BAFTA britannici, “Nuovo Cinema Paradiso” giunse nelle sale internazionali in una versione ampiamente rimaneggiata. Una scelta dovuta alla errata convinzione dei distributori che opere non americane, per avere una possibilità di successo negli USA, dovessero durare non più di due ore; questo ridusse l’opera dai 155 minuti iniziali a 123. Ciò comunque non incise sul significato complessivo del film che fu, evidentemente, più che apprezzato sia per le tematiche che per la spontaneità non comune.

In realtà, come spesso accade, la pellicola arrivò, come Tornatore l’aveva pensata, neppure nelle sale italiane: è stata ripristinata nel 2007 per l’home video per una durata totale di 173 minuti circa e trasmessa anche dalla RAI da allora in avanti nella versione director’s cut. E, in questo caso, le scene aggiuntive riguardano soprattutto la seconda parte del film che completano di parecchio la trama e restituiscono tutto un altro risvolto al ritorno di Salvatore in Sicilia.

Per comprendere i dettagli dell’opera, però, è necessaria una visione integrale: una buona occasione anche per vederlo per la prima volta da parte di chi non ne avesse mai avuto il piacere. Ciò che vogliamo mettere in evidenza qui è la cifra stilistica di Tornatore – al suo massimo in quest’opera – e quanto sia stato importante il film nella storia più recente del cinema italiano.

I ricordi dell’infanzia

Vi sono tantissimi ricordi dell’infanzia nella sua Bagheria raccontata attraverso l’immaginario Giancaldo, e che ha preceduto il percorso di autore che Peppuccio ha compiuto dalla profonda Sicilia fino alla ribalta internazionale. I pomeriggi trascorsi in sala, tra il brusio della gente, i personaggi di paese, risate e schiamazzi: per moltissime persone un modo per passare del tempo di fronte all’unico svago possibile più che la passione per il cinematografo.

Non per il piccolo Totò, che cresce tra i miti del western americano e i tragici personaggi del neorealismo italiano, e scorge la magia del cinema attraverso l’obiettivo del proiettore che si modernizza poco alla volta, col passare degli anni e delle aumentate possibilità che offriva il mondo del grande schermo negli anni ’50. Ma c’è anche la voglia di scoprire cose nuove, di provare un sincero stupore, di trasgredire alle regole di una società retrograda che proibisce anche un semplice bacio proiettato su uno schermo.

L’infanzia e l’adolescenza di Totò sono condizionate, in positivo (ma, apparentemente, non sempre) dalla figura di Alfredo (interpretato da un magnifico Philippe Noiret), il quale fa da padre, da amico, e da guida. Lui vede in Totò un domani radioso, vista l’intelligenza spiccata del ragazzo, e pensa che quella passione per il cinema potrebbe diventare un lavoro, una professione che lo faccia emergere.

Regia e Morricone

Senza restare dunque vincolato alle catene di quella società di cui accennavamo, che tarpa le ali e sembra non dare la possibilità di crescere, rendendo tranquille ma grige le vite di tutti. Il giovane Salvatore non capisce, inizialmente: ma sarà un amore tormentato e dilaniante – quello per la bellissima Elena (Agnese Nano / Brigitte Fossey) – a spingerlo verso altre direzioni, verso un’esistenza diversa. Come se la meravigliosa terra di Sicilia amasse troppo i suoi figli, fino a tenerli troppo con sé, senza offrire loro un futuro, un’alternativa. Una triste verità, attualissima ancora adesso.

Regia panoramica, fatta di particolari e inquadrature ampie, di colori e sapori, il tutto scandito dalle note di Ennio Morricone. Il sodalizio tra il regista siciliano e il compositore due volte Premio Oscar inizia proprio da qui, e con quanta meraviglia. La musica accompagna la maggior parte delle scene ed evoca malinconia, divertimento, ma anche i ricordi di quel che è stato. Autori come Morricone riescono a caratterizzare splendidamente i film attraverso la colonna sonora.

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Un classico contemporaneo

Gli anni ’80 hanno rappresentato una svolta nel nostro cinema. Molti dei grandi autori dell’epoca dell’infanzia di Totò erano già venuti a mancare; altri erano invece in piena attività (Fellini, Scola, Monicelli) eppure un ricambio generazionale era atteso. Ma l’avanzare della televisione, di altri mezzi di comunicazione, una iniziale carenza di grandi film e la crisi delle sale stava per portare il cinema italiano nel periodo più difficile di sempre, che culminerà negli anni ’90.

Queste sono alcune delle ragioni per le quali le migliori opere di quegli anni dei nuovi talenti, ovviamente Tornatore ma pensiamo anche a Verdone, Salvatores, Benigni, Troisi e non soltanto, siano oggi dei classici da rivedere con attenzione e ammirazione. Di fatto, questi autori hanno portato il grande schermo italiano nell’epoca della rivoluzione tecnologica di internet, del cambiamento politico mondiale e dell’ingresso inevitabile nella globalizzazione ancora in atto oggi.

Il cinema, tra le sue caratteristiche, intercetta e interpreta l’attualità e i costumi di ciascuna epoca. La leggerezza di film come “Nuovo Cinema Paradiso” è la stessa della commedia italiana classica, ma con uno sguardo a noi stessi e alla nostra essenza con un taglio più agile, diretto, dinamico. Non a caso queste opere sono arrivate anche oltreoceano con grande forza (raccogliendo tantissimi riconoscimenti), e hanno fatto da riferimento cui guardare per la rinascita degli ultimi quindici anni del nostro cinema. Un contemporaneo italiano di cui “Nuovo Cinema Paradiso”, con la sua originalità e bellezza, ha rappresentato uno dei cardini fondamentali.

Voto: 8.5

Di Giuseppe Causarano

Giornalista cinematografico presso diversi siti e testate italiane, mi dedico da sempre alle mie più grandi passioni, il Cinema e la Musica (in particolare le colonne sonore), che rappresentano i miei punti di riferimento personali. Tra i miei interessi anche i principali eventi internazionali dell'attualità, dello spettacolo, dello sport (soprattutto motori, calcio e ciclismo) e della cultura in generale.

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