Recensione in anteprima – Quarto lungometraggio alla regia per Greg Berlanti che torna sul grande schermo con una commedia che sconfina (poco) nel thriller politico e molto nel sentimentale. Un mix ben riuscito che incuriosisce e diverte il pubblico. Al cinema dal 11 luglio.
La storia
Cole Davis (Channing Tatum) è il direttore del programma di lancio dell’atteso viaggio sulla luna dell’Apollo 11. Kelly Jones (Scarlett Johansson) è una spregiudicata esperta di marketing che viene assunta per promuovere l’impresa spaziale il più possibile, per fomentare il popolo americano a seguire con passione la missione e gli sponsor a investirvi. Nel mezzo c’è la politica del governo Nixon, determinata a mostrare al mondo – con ogni mezzo a disposizione, oltre l’etica – che l’America approderà sulla luna ben prima della Russia.
Pochi mesi prima dello storico evento gli Stati Uniti si trovano in difficoltà rispetto alla corsa allo spazio nei confronti della Russia e devono fronteggiare un ambiente politico e sociale che mette sotto accusa il dispendio di risorse economiche destinate alla NASA. Inoltre, siamo alla fine degli anni ’60, la guerra in Vietnam continua con un dispendio di uomini e mezzi disastroso per gli Stati Uniti. Molti cittadini statunitensi non credono più nel sogno delle missioni nello spazio. La NASA ha avuto anche diversi incidenti nelle precedenti missioni.
E’ un quadro sociale e politico che Greg Berlanti ci propone con estrema chiarezza anche affidandosi esplicitamente a filmati dell’epoca. Filmati di protesta studentesca e di propaganda militare, notiziari e interviste di politici ed esperti.
Tra fiction e realtà
Il film coinvolge subito il pubblico grazie al ritmo presto incalzante e alla presenza di Scarlett Johansson perfettamente calata nei panni di Kelly Jones. La sua cinica e precisa presenza in ufficio tra molti “squali” uomini negli anni ’60 è forte e determinata. Prende subito in contropiede i presenti e attira l’interesse di coloro che vogliono sfruttare la sua bravura nel marketing per motivi politici.
Qui entra in gioco Woody Harrelson che interpreta Moe Berkus. E’ un singolare e oscuro personaggio che lavora per il governo e che ha precisi ordini: rendere più popolare il progetto dell’allunaggio e avere la certezza che questo avvenga, anche ricorrendo al piano “B”… la finzione.
In un mondo in cui quasi il 15% dei cittadini statunitensi crede stupidamente che l’uomo non sia mai andato sulla luna, sceneggiatori e produttori di “Fly me to the moon” sfruttano questa incredulità, se ne prendono gioco e la usano a proprio vantaggio rendendola sfondo di una storia più ampia: quella dell’uomo trincerato dietro le proprie paure e progetti e della donna rinchiusa nelle proprie bugie.
Due mondi gemelli che si incontrano, due anime che vivono all’opposto. Una storia d’amore che viene creata senza originalità ma con la giusta dose di battute, un giusto ritmo di sceneggiatura e quello svelarsi di entrambi come se fosse un viaggio.
Artemis e Apollo
La dinamica tra Cole e Kelly crea dinamismo per tutto il film. Il loro rincorrersi e le loro caratteristiche deflagrano continuamente. Merito di una riuscita così peculiare e, per certi versi, stravagante è l’alchimia che si crea tra gli attori e i rispettivi personaggi. L’iniziale e invulnerabile Kelly è magistralmente interpretata da una Scarlett Johansson che si fa via via più aperta, sincera, reale. L’impassibile, forse fin troppo, Cole ha le sembianze di un Channing Tatum che è una maschera fin troppo imperscrutabile e che porta dentro tutti i suoi dolori e sensi di colpa.
I due però camminano insieme, spesso con opinioni opposte ma nella stessa direzione. Complici l’uno dell’altra a loro insaputa. A corredo dei due interviene un Woody Harrelson perfetto nella parte. Ripreso in tante delle località reali della NASA “Fly me to the moon” in realtà ha ben poco riscontro storico. Tutti i personaggi sono inventati, ad iniziare da Kelly Jones che non è mai esistita anche se è vero che un pool di esperti di marketing, in quel periodo è stato ingaggiato e ha svolto il lavoro di rendere più popolare quella missione.
Cole Davis si rifà vagamente a Eugene Kranz, il vero controllore di missione dell’Apollo 11 ma nessuno dei fatti del film è stato da lui fatto. Moe Berkus, manco a dirlo, è pura invenzione.
“Fly me to the moon” offre un buon intrattenimento, una bella storia sentimentale, una sceneggiatura che commuove e fa anche riflettere e, inoltre fa sognare. Immancabile la battuta/citazione:
“Ti fidi di me?”
sfruttata in un buon momento.
Voto: 7,5