Recensione in anteprima – Arriva sul grande schermo il quarto capitolo della saga “Bad Boys” iniziata nel lontano 1995 da Michael Bay. Alla regia si confermano Adil El Arbi e Bilall Fallah, registi del capitolo precedente e di quel “Batgirl” che è stato cancellato nella sua distribuzione. Molta azione, effetto nostalgia che arriva fuori tempo massimo: i protagonisti son sempre “bad” ma, ormai, poco “boys”. Al cinema dal 13 giugno.

La storia

Mike (Will Smith) e Marcus (Martin Lawrence) si sono ripresi dai tormenti subiti a causa del sicario, e figlio di Mike, Armando (Jacob Scipio), che ora si trova in carcere. Mike sta infatti per convolare a nozze e Marcus, al solito, lo accompagna come un postmoderno Sancho Panza, goloso di junk food. Colpito da un infarto, Marcus ha una visione del capitano Howard (Joe Pantoliano) e si convince di essere immortale perché non è ancora arrivato il suo momento.

Questo però non impedisce a sua moglie (Tasha Smith) di fargli sparire da casa tutti gli snack. Mike invece, in seguito a una sparatoria, rivela di essere vittima di attacchi di panico, che ne compromettono l’efficienza. Il vero problema dei due è però un altro: qualcuno sta infangando la memoria del capitano Howard e per scoprire di chi si tratta c’è bisogno dell’aiuto proprio di Armando, l’unico che può identificare il responsabile. Così tra evasioni e alligatori, inseguimenti e rapimenti, Mike e Marcus vivono una nuova spettacolare avventura.

Una trama un po’ più elaborata del solito per un sequel che, comunque, conferma nuovamente di voler inserire la questione famigliare e generazionale all’interno del franchise. Come è stato sempre fatto per questo genere di commedie action e che si protraggono con alterne fortune per decenni.

Bad ma non più Boys

La parte action del film non delude le aspettative e non invade troppo la scena. Un’azione iperbolica ed esagerata come si conviene per l’intera saga chiede a tutto il pubblico una sospensione dell’incredulità che, spesso, oltrepassa il limite. Mike e Marcus continuano a dare la caccia ai cattivi, loro stessi un po’ “Bad Boys” che non rispettano le regole sia durante le indagini sia durante la vita di tutti i giorni.

“Bad Boys” che, fisiologicamente, non sono più boys perchè anagraficamente son passati quasi trent’anni dalla prima avventura cinematografica del duo. I segni del passare del tempo sono ben visibili non solo nel fisico dei due agenti ma, anche, nella sceneggiatura. Una sceneggiatura che riprende dialoghi poco al passo coi tempi puntando troppo su un pubblico di affezionati alla saga. Strategia che ha tutti i suoi difetti ma che ha anche, forse, il pregio di dare allo spettatore qualcosa di sincero, consolatorio e attendibile.

Ride and Ride again

“Bad Boy ride or die” è un film che scorre velocemente, senza grosse novità e che ha il preciso compito di intrattenere secondo i canoni consolidati della saga. Di questo passo, come per tutte le saghe che percorrono la saga dei sequel a ripetizione, la parola “die” cambia di significato. Il franchise non muore mai e viene rievocato nelle atmosfere, nelle battute, nelle inquadrature, nel recupero anche delle immagini e della musica che ne hanno caratterizzato il successo.

Si continua a cavalcare quanto di buono e non creato nel corso dei decenni. A torto o a ragione è una soluzione che comunque ha il suo mercato, ha la sua platea. Il rischio di creare dei continui spot autoreferenziali è grande anche se il film cerca sempre di arginare questo pericolo.

Le interpretazioni non sono oggetto di questo genere di film e la coppia comunque mantiene, nonostante la ripetitività e l’età, un’ottima alchimia e complicità. In conclusione “Bad Boys ride or die” è un film per gli appassionati della serie e che troverà anche qualche nuovo spettatore. Non chiede nulla in più di un intrattenimento “ignorante” anche e soprattutto del passare del tempo.

Voto: 6,1

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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