Recensione in anteprima – ROFF17 (Roma 2022) – Grand Public – A sei anni di distanza da “7 minuti” Michele Placido torna a dirigere e porta sul grande schermo una rielaborazione degli ultimi anni di vita di Michelangelo Merisi, artista noto con il nome di Caravaggio. Un innovatore della pittura conosciuto anche per la sua vita sregolata e poco incline alle regole. Un film con luci e ombre che ha nella fotografia la sua parte migliore. Al cinema dal 3 novembre

La storia

Napoli, 1609. Michelangelo Merisi (Riccardo Scamarcio), noto a tutti come Caravaggio, trova rifugio presso la famiglia Colonna in attesa della grazia papale che gli permetterebbe di sfuggire alla decapitazione come punizione esemplare per aver ucciso l’amico-rivale Ranuccio. Il pittore e scultore sostiene di essersi semplicemente difeso da un agguato, poiché durante la sua vita “da avanzo di galera”, fatta di grandi bevute e di rapporti sessuali con “donne di malaffare” e ragazzi, le risse sono state all’ordine del giorno.

Del resto la sua “vita spericolata” è riflessa nei suoi dipinti, in cui una prostituta può diventare la Vergine Maria e un senzatetto (Alessandro Haber) San Pietro capovolto sulla croce. Per questo la Chiesa gli mette alle calcagna una sorta di inquisitore (Louis Garrel) che ha il compito di indagare sul suo passato e di mettersi in contatto con le persone a lui più vicine, quelle che malgrado tutto lo proteggono: in primis la marchesa Costanza Colonna (Isabelle Huppert) e il nipote del Papa, Scipione Borghese.

Michele Placido, il regista, si avvale dell’espediente investigativo per partire dalla inizio della fine della storia (l’attesa della grazia) per ripercorrere (con flashback) le vicende che hanno portato a quella situazione con l’ausilio di questa “ombra” (del titolo) e cioè quell’inquisitore che, per tutto il film si metterà sulle tracce di Caravaggio per poterlo finalmente intercettare.

Luci e ombre

Al contempo, se esiste un’ombra che vuol fare luce sulla vicenda, la luce, in questo caso, dovrebbe essere proprio Caravaggio. Non tanto con la sua vita ma soprattutto con le sue opere. Si tratta di dipinti evocativi, spesso realizzati con la provocante dimostrazione che dal reale si può estrapolare quella bellezza (talvolta divina) di un creato, della vita, anche dalla morte stessa.

Il film si avvale di un’ottima fotografia e un altrettanto curata scenografia che crea molto bene questo gioco di luci e ombre nelle varie scene che interessano direttamente o indirettamente Caravaggio. Il buio nel quale spesso sprofonda Caravaggio è, per lui, quella luce che gli permette di realizzare quelle opere piene di passione da trasmettere a chi vedrà il quadro.

Un’arte controversa, innovativa  per tecnica e utilizzo proprio di quelle luci e ombre che ne determineranno il successo che dura ancora oggi. E il film, purtroppo o per fortuna ha le sue luci e le sue ombre. Se fotografia, costumi, scenografie son elementi molto ben curati, la stessa cosa non si può dire per il resto delle caratteristiche di questo “L’ombra di Caravaggio” che appare più vicino a un serial televisivo Rai rispetto a un film per il grande schermo. E, sinceramente, l’idea di poter fare almeno una miniserie non sarebbe stata malvagia così da poter dare respiro ai diversi personaggi incontrati da Caravaggio.

Troppe parole poca arte

“L’ombra di Caravaggio” è un film che parla troppo per essere un film basato (o dovrebbe essere) su un artista che, invece, dovrebbe parlare più con le sue opere. Spesso ci si trova di fronte a una spiegazione didascalica dell’arte del Caravaggio, con le stesse parole del protagonista. Il ritornello sulla libertà di espressione in contrapposizione con la rigidità dell’arte imposta dalla Chiesa soprattutto su temi e soggetti sacri, ripetuto più volte risulta ridondante.

La regia di Michele Placido (che si ritaglia anche un suo eccentrico ruolo di cardinale piuttosto libertino) non ha grandi velleità artistiche e assolve con discreto risultato il compito affidato. E’ una regia che si concentra soprattutto sulla vita privata e pubblica di Caravaggio e non sulla sua arte. Si tratta di scelte anche perchè sin dal titolo si cerca di veicolare lo spettatore verso qualcosa di particolare, nascosto del Caravaggio che tutti possono invece vedere con le sue opere.

Un ulteriore elemento che risulta poco naturale è, spesso, la sceneggiatura. Niente di particolarmente elevato che, però, si abbandona a espressioni fuori tempo in un romanesco che Caravaggio, di origine milanese (il suo pseudonimo ne è la prova), difficilmente avrebbe parlato nel 1600. Non si pretende la lingua dell’epoca (volgare ma non propriamente l’italiano odierno) ma un’attinenza un po’ più ricercata.

Il cast, ben assortito, risulta coinvolto con anche una discreta interpretazione di Riccardo Scamarcio. Quando appare Isabelle Huppert, però, si palesa nettamente la differenza tra un’ottima attrice di livello eccelso rispetto al resto del pur buon cast.

Voto: 5,8

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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