Recensione – Arriva nelle sale cinematografiche italiane il film d’esordio del regista Bong Joon-ho che, nel 2020, vincerà il premio come miglior film film, regia e sceneggiatura per “Parasite”. Una trama semplice che racchiude che manifesta nello svolgersi di situazioni al limite dell’assurdo, una fotografia della società misogina, corrotta sudcoreana. Al cinema dal 27 aprile

Una storia (a tratti) surreale

Yun-ju (Lee Sung-jae) è un nullafacente che non ha i soldi per corrompere il suo preside e diventare professore; frustrato, si sfoga con i cani del vicinato, cercando goffamente di eliminarli. Di contro Hyun-nam (Bae Doo-na), giovane svampita ma di buon cuore, decide di indagare per scovare il rapitore di cani.

Trama lineare, ma con uno svolgimento a tratti surreale. Lo svolgersi della vicenda, poi, viaggia alcune volte sul filo del comico ma mai nel demenziale virando nel gusto amaro di una situazione con non poco imbarazzo. Si ride sommessamente delle disavventure che il protagonista si crea o subisce nel vano tentativo di diventare più di quel che è, arrivando così nel posto sociale che sente suo.

Persone “disturbate”

Yun-ju è una persona che si sente fuori posto, totalmente disturbato dalle piccole cose della vita, come, per esempio l’abbaiare dei cani. In tutto il film la cattiveria superficiale verso le persone e soprattutto verso i cani è solo l’aspetto finale di un disturbo interiore persino relazionale con sua moglie, con il suo futuro. Un futuro che viene visto oscuro, quasi senza via d’uscita.

Bong Joon-ho già da questo suo primo film dimostra di camuffare e allo stesso momento esaltare la frustrazione, il disagio conscio e inconscio dei suoi personaggi. Dimostrazione che verrà poi ripresa con più ampio respiro e metafora nel distopico “Snowpiercer” e più ancora, annegandolo letteralmente in “Parasite” suo film da Oscar.

“Can che abbia non morde” è un film che si muove abilmente sul filo tra commedia e dramma. Senza, forse, deciderne la natura e facendoci dubitare se quanto si vede possano essere situazioni vere o verosimili. Il disclaimer posto all’inizio del film assicura che nessun animale (cani in questo caso) è stato maltrattato nonostante le scene che si vedranno ma il dubbio, che certe cose possano accadere, non solo in Corea del Sud, rimane.

Tutto il mondo è paese

Un vecchio adagio recita che “tutto il mondo è paese”. Certe volte questa affermazione viene utilizzata per giustificare furbescamente un comportamento illecito ma che, visto che lo fanno tutti, dovrebbe essere accettato. Il regista dissemina per tutto il film caratteristiche da denuncia, neanche tanto velata, di alcuni malcostumi troppo spesso accettati come prassi nel suo paese di origine.

Quindi si fa menzione della compravendita delle cattedre universitarie, della corruzione statale, della manipolazione delle immagini e delle informazioni in tv, del non rispetto delle leggi siano esse condominiali o statali, la misoginia sul posto di lavoro… Brutture e illegalità che sono, purtroppo, comuni a moltissime nazioni.

L’affresco che il regista ci dona, anche attraverso un’eccellente colonna sonora è un mix di dolcezza, ingenuità affogate in tanta tristezza a tratti deprimente e apatica. Buon ritmo, ottime interpretazioni e una sceneggiatura che da molto spazio ai silenzi.

Voto: 7,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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