Recensione in anteprima – Quinto lungometraggio da regista per Ben Affleck che porta sullo schermo la storia di come una scarpa Nike, unita a uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi, abbia attraversato la società degli anni ’80 cambiandone alcuni aspetti nell’ambito del business sportivo. Un film a tratti nostalgico ma che rende pienamente giustizia al mito americano. Al cinema dal 6 aprile

La “grande” storia

È il 1984, Reagan è alla Casa Bianca, la Apple lancia il suo primo Macintosh e Michael Jordan deve ancora mettere piede su un parquet NBA. Ma con quale scarpe? Converse e Adidas si spartiscono il mercato delle squadre in cima alle Conference, delle stelle sui poster e dei senior universitari. Nike, l’azienda che prende il nome dalla dea della vittoria e che nessuno sa pronunciare, arranca molto più indietro. E per Phil Knight (Ben Affleck), suo co-fondatore e runner al college e nell’anima, non può andare bene.

È per questo che da qualche tempo ha assunto nella divisione basket Sonny Vaccaro (Matt Damon), talent scout che ha varcato i palazzetti liceali e universitari di mezzi Stati Uniti, dove ha stretto la mano a tutti i coach, agli assistenti e ai giocatori a cui è riuscito ad arrivare.  L’obiettivo, in vista del draft del 1984, quello con in lista Hakeem Olajuwon, Charles Barkley, John Stockton e – perché no? – Oscar Schmidt, è uno e soltanto uno: Michael Jeffrey Jordan, da Brooklyn, New York, junior di North Carolina.

Musica anni ’80, filmato originale di Reagan del 1984 e dati a schermo delle tre principali aziende di calzature sportive in quel periodo storico: Converse prima, Adidas seconda e Nike terza con solo il 17% del mercato concentrato quasi esclusivamente sulle scarpe da corsa/jogging.

E’ la partenza di un film che ci prepara, passo passo, al grande salto, un “terzo tempo” per arrivare a canestro anche se tutto fa sembrare quel canestro troppo lontano, troppo alto, troppo fuori portata.

Born in the “Usa”

Ben Affleck dirige un film fortemente impregnato di anni 80 e di tutte quelle connotazioni sociali, sportive, economiche tipiche di quell’epoca. Non può essere altrimenti in quanto la vicenda è snodo cardine della storia sportiva in generale e societaria in particolare. La dinamica è anch’essa anni ’80 in pieno rispetto di quel “modello americano” che vede uno sfortunato, imbolsito Sonny Vaccaro lottare per quella sua idea, il suo progetto contro tutti.

La sceneggiatura romanza alcuni passaggi della vicenda ed estremizza alcune caratteristiche particolari del gruppo di protagonisti della vicenda. A tratti l’avventura si trasforma in thriller finanziario passando spesso per la commedia e interessando, sullo sfondo, qualche spunto sociale.

Ottime interpretazioni di tutto il cast (sì anche Ben Affleck che in questo film somiglia all’italiano Massimo Ciavarro). Lo stesso Michael Jordan ha voluto la presenza di Viola Davis come sua “madre” in un film che non è un biopic sul cestista e nemmeno un documentario sull’azienda ora leader nel settore delle attrezzature sportive. Si tratta di focalizzarci su quell’avventura “born in the Usa” del rischio totale contro tutti e tutto… anche se poi le parole della famosa canzone, con un ascolto più attento son tutt’altro che l’esaltazione del sogno americano.

Just do it… all’avventura, come I Goonies

“Air, la storia del grande salto” ha una componente musicale molto importante. La colonna sonora ripercorre molti successi pop degli anni ’80, brani talmente famosi da essere presenti in tanti film e, soprattutto nei film dell’epoca. Un ulteriore coinvolgimento emotivo, a tratti nostalgico, dello spettatore. 

Ben Affleck sceglie di non inquadrare mai la faccia di Michael Jordan, di lui si intravede, brevemente, solo la figura, spesso da lontano, spesso inquadrando dei dettagli del suo abbigliamento e del suo corpo. Una scelta che immerge lo spettatore nella complicità di una certa tipologia di avventura dei film anni ’80… uno su tutti (ma non il solo) “I Goonies”. Un gruppo di colleghi, in questo caso, che parte alla ricerca del modo per fare business, il loro tesoro, nelle calzature per il basket, contro dei colossi, i pirati, che invece quel tesoro lo reputano già loro.

In sostanza Nike mette in pratica quel “Just do it” che, in realtà diventa motto più avanti, nel 1988.

Una scarpa è solo una scarpa…

Sonny Vaccaro si spinge a rivoluzionare coraggiosamente l’idea di business nel mondo del basket. La sua idea di puntare tutto il budget su un unico giocatore, non ancora al top nel 1984 ma solo giovane astro debuttante è non solo un’idea folle ma anche spiazzante per i vertici della sua azienda e per il mercato. 

In più Michael Jordan non rappresenta il veicolo della scarpa Nike ma l’azienda costruisce una scarpa con il suo nome “Air Jordan”, con i colori della sua squadra “Chicago Bulls” (scelta che scardina il quasi “total white” imposto dalle regole NBA), con un logo che rappresenta il suo salto con la palla. Per la prima volta l’idea di personalizzare un prodotto in uno sport di squadra come succedeva per tennisti e golfisti.

Un’altra idea rivoluzionaria verrà imposta dalla madre di Jordan. Quella partecipazione  ai profitti delle vendite che, nel mondo finanziario rappresenta l’inizio del riconoscimento della parte che l’atleta ha nel veicolare gli acquisti delle multinazionali. Grazie a questa clausola Michael Jordan diventa così partecipe degli utili e non solo del “lavoro”, ancora adesso ogni anno, percepisce diverse centinaia di migliaia di dollari solo dalla vendita delle scarpe e accessori “Air Jordan”.

Dopotutto 

“Una scarpa è solo una scarpa finché non la indossa Michael Jordan”

Il coraggio di fare il salto

Il coraggio di Sonny Vaccaro non è mai esaltato ma viene inquadrato anche nell’ottica di tutti i vari pericoli e problemi che una scelta simile  può comportare in seno all’azienda e alle figure che lo affiancano. 

Una scelta del film che non scade nell’ennesima celebrazione nostalgica della bellezza degli anni 80. “Air, la storia del grande salto” risulta un film godibile, molto ben confezionato, curato dal punto di vista recitativo, registico e di sceneggiatura. Coinvolge lo spettatore, lo diverte con qualche ripetizione di troppo ma con una sana voglia di intrattenimento.

Voto: 7,4

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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