Recensione in anteprima – Venezia 79 – In concorso –  Dopo il riuscito The Father, Florian Zeller torna a trasporre al cinema una propria pièce, scritta nel 2018: il risultato è un intenso dramma sul tema della depressione, che però non sfugge a qualche schematismo e rischia di rimanere troppo in superficie. Al cinema dal 9 febbraio.

La trama 

Un dramma che segue una famiglia che lotta per tornare unita dopo essersi sfasciata. The Son è incentrato su Peter (Hugh Jackman), la cui vita frenetica con il figlio appena nato e la nuova compagna Beth (Vanessa Kirby) viene sconvolta quando l’ex moglie Kate (Laura Dern) ricompare con il figlio Nicholas (Zen McGrath), ormai adolescente.

Il giovane manca da scuola da mesi ed è tormentato, distante e arrabbiato. Peter si sforza di prendersi cura di Nicholas come avrebbe voluto che suo padre si fosse preso cura di lui, mentre si destreggia tra il lavoro, il nuovo figlio avuto da Beth e l’offerta della posizione dei suoi sogni a Washington. Tuttavia, cercando di rimediare agli errori del passato, perde di vista il modo in cui tenersi stretto Nicholas nel presente.

Un nuovo dramma familiare 

Florian Zeller ha esordito al cinema nel 2020 con il bel The Father, che è valso a Anthony Hopkins il suo secondo Oscar al Miglior Attore Protagonista, ma è prima di tutto un drammaturgo, noto principalmente per una trilogia di pièce incentrata sul tema della famiglia, di cui The Son costituisce il terzo capitolo (il primo, La madre, non è ancora stato trasposto, mentre il secondo è per l’appunto The Father). Il filo rosso che collega The Son a The Father è rappresentato dal desiderio di esplorare le dinamiche interne a una famiglia borghese quando c’è di mezzo una malattia: se nel film del 2020 la malattia in questione era l’Alzheimer che colpiva il vecchio padre, in The Son si parla invece della depressione che sta affliggendo la vita di un figlio.

Dopo il divorzio dei genitori – il padre si è fidanzato con una donna più giovane, che ha appena partorito il suo nuovo figlio – Nicholas è infatti caduto preda di un malessere oscuro e opprimente, che lo spinge a saltare la scuola e a isolarsi sempre di più. Il punto di vista della storia però non è tanto il suo, quanto quello di suo padre Peter, un brillante uomo di successo che a sua volta è cresciuto dovendo fare i conti con i traumi causatigli dai discutibili comportamenti di suo padre (interpretato da un magnifico Anthony Hopkins, che appare solo pochi minuti ma lascia il segno) e non intende quindi commettere i suoi stessi errori.

L’elemento più interessante di The Son è proprio il modo in cui riesce a far capire che spesso il dolore è il risultato di una catena generazionale, che ha quindi radici molto lontane, che possono affondare addirittura a decenni prima della nostra nascita. Peter è il personaggio più interessante del film proprio perché vorrebbe davvero essere d’aiuto al figlio, prova in tutti i modi a stargli vicino, ma per il modo in cui è stato cresciuto non possiede gli strumenti che gli permetterebbero di capire Nicholas e dunque di aiutarlo secondo le modalità di cui il ragazzo avrebbe bisogno. Questo scollamento, questa incapacità di Peter di stabilire una comunicazione emotiva efficace con il figlio nonostante tutti i suoi sforzi – incapacità di cui Peter non ha colpa, dato che egli stesso è vittima del proprio padre -, rappresenta il vero cuore tragico dell’opera.

Un’opera riuscita a metà 

Se dunque quella di Peter, nella sua dolente tragicità, è una figura estremamente riuscita, grazie anche alla sofferta performance di Hugh Jackman, paradossalmente non si può dire lo stesso del personaggio di Nicholas, che è invece rappresentato in maniera troppo stereotipata: il suo malessere è più urlato che sentito, è più espresso a parole che mostrato per immagini, come invece un buon film dovrebbe fare.

E il giovane Zen McGrath, nonostante l’ammirevole impegno in un ruolo per niente facile, non riesce a trasmettere sempre quel che dovrebbe, risultando in fin dei conti un po’ piatto sul piano recitativo. Zeller, insomma, non riesce a donare a Nicholas quell’autenticità che invece si percepisce nel personaggio di Peter: a questo non giova poi in generale la prevedibilità dell’intreccio, che al contrario di The Father mantiene una costante linearità e si conclude in modo intenso ma piuttosto scontato. Un disturbo come la depressione, invece, avrebbe meritato forse un trattamento più articolato e meno ovvio, un trattamento insomma all’altezza della sua complessità.

In definitiva, The Son è un film riuscito a metà: se l’intenzione di affrontare un tema attuale come quello dei disturbi mentali è ammirevole, il prodotto finale risulta piuttosto scostante, poiché alterna momenti di grande scrittura e di grande intensità ad altri che invece restano troppo in superficie e non riescono a scavare come dovrebbero. Rispetto a The Father, un piccolo passo indietro per Florian Zeller.

Voto: 6,5 

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