RecensioneLa casa di produzione indipendente statunitense A24 concede a Daniel Kwan e Daniel Scheinert libertà creativa e il risultato è Everything Everywhere All At Once (EEAAO). L’opera colpisce per l’audacia nel portare su schermo una quantità enorme di temi, stili e influenze, generando caos visivo che trova però il favore di critica e pubblico. Il film è di nuovo in alcune sale grazie ai premi che si sta aggiudicando e alle numerose nomination per i premi Oscar del prossimo 13 marzo.

Everything

Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh) è una signora di origine cinese che, spostatasi negli Stati Uniti d’America, ha preso in gestione una lavanderia assieme al marito Waymond (Jonathan Ke Quan). La situazione per Evelyn è critica: il marito Waymond cerca il coraggio per presentarle le carte del divorzio, il governo statunitense tiene in scacco la lavanderia per la riscossione dei tributi e la figlia Joy (Stephanie Hsu) insiste per presentare la fidanzata al nonno, padre di Evelyn, esigente conservatore appena giunto da Hong Kong.

Improvvisamente la realtà familiare appena descritta viene stravolta da un evento incredibile: durante un colloquio fra Evelyn e Deirdre Beauberidre (Jamie Lee Curtis), un’ispettrice dell’IRS (International Revenue Service – agenzia governativa per la riscossione dei tributi), la nostra protagonista viene a contatto con Alpha Waymond, la versione di suo marito Waymond proveniente dall’Universo Alpha.

Quest’ultimo le spiega che l’Universo che lei conosce non è che uno degli infiniti universi componenti il Multiverso e che Universo Alpha, quello di provenienza dell’uomo misterioso, è l’universo nel quale è stata sviluppata una tecnologia capace di permettere di saltare tra un universo e l’altro. Questa tecnologia è stata ideata dalla versione di Evelyn di quell’Universo (Alpha Evelyn) ma ora la stessa è morta e il multiverso è minacciato da Jobu Tupaki, la versione Alpha della figlia Joy, divenuto un essere capace di sperimentare il Multiverso nella sua totalità, con la capacità di modificarlo a piacimento, e con lo scopo di distruggerlo.

Il compito di Evelyn non è più quello di salvare la propria lavanderia o la propria famiglia, ma l’intero Multiverso.

Everywhere

EEAAO vive in un Multiverso di citazionismo cinefilo: dai Marvel movies a Jackie Chan, dal cinema indipendente americano a quello delle arti marziali di Hong Kong, passando dallo stile drammatico a quello comico, dallo splatter al trash. Ovunque in ogni sua parte il film traborda narrazione, sfida le leggi del buonsenso, invade la mente dello spettatore inscenando il caos narrativo.

Il caos può però essere ordinato. L’entropia aumenta, non diminuisce. I Daniels rispettano questo principio e ci giocano. Si assumono il rischio di perdere lo spettatore e di non riuscire a coinvolgerlo in un flusso creativo dirompente ma vincono la sfida, scrivendo una storia in continua progressione verso l’assurdo. Il teatro dell’assurdo riesce nonostante tutto ad essere comprensibile e a trasmettere il messaggio che si era prefissato.

All At Once

La realizzazione di questo film ha richiesto coraggio, e la A24 ha dimostrato (anche in questo caso) di averne molto. I Daniels avevano scritto una sceneggiatura annegata nella cinefilia più sfrenata e incontrollata, senza preoccuparsi di essere perfetti, di avere una storia a prova di buchi di trama o di essere credibili.

I due creatori di Swiss Army Man si sono sicuramente divertiti nello scrivere e dirigere anche questo film. Almeno tanto quanto è divertente e godibile esserne spettatori.

Voto: 7.5

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