Recensione – A tre anni da “Vice” e a sei da “La grande scommessa” Adam McKay torna sul grande schermo (e sul piccolo) con questa nuova sferzante critica all’America contemporanea e all’ipocrisia dei media. Un film apocalittico che è metafora dei giorni nostri, dove contano più i “likes” sui social dei titoli di studio. Cast stellare con Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett, Meryl Streep. Proiettato al cinema per qualche giorno dall’8 dicembre è ora disponibile su Netflix.
La trama
La dottoranda in astrofisica Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e il suo docente all’Università del Michigan Dr. Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) scoprono che entro sei mesi una gigantesca cometa colpirà la Terra e provocherà l’estinzione del genere umano. Allarmati riferiscono tutto alla Presidente degli Stati Uniti Janie Orlean (Meryl Streep), ma dopo essere stati snobbati e umiliati dall’amministrazione si rivolgono alla stampa e alla televisione.
E’ l’inizio di un assurdo circo mediatico che coinvolgerà gli stessi scienziati e finirà per generare uno scontro ideologico tra allarmisti e negazionisti, ribelli e militanti filo-governativi, in un mare indistinto di dirette tv, post, tweet, reazioni social, prese in giro, opinioni a casaccio, sondaggi di gradimento, interessi delle oligarchie, calcoli scientifici non verificati, ignoranza al potere e stupidità collettiva che finisce per rendere quasi secondario l’arrivo della gigantesca cometa…
Realtà (vera) estremizzata
Adam McKay estremizza quanto avviene purtroppo nella realtà di tutti i giorni. La messa in scena e il ritmo frenetico accentuano questo concetto. Il cast, nelle fantastiche interpretazioni di Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett e Meryl Streep concorre fortemente a evidenziare quanto la realtà sia diventata avara di contenuti e molto più propensa alla forma.
Il Dr Mindy, interpretato da Leonardo DiCaprio è il perfetto scienziato che viene fagocitato dalle regole dei media. La dottoranda in astrofisica Dibiasky interpretata da Jennifer Lawrence è la studentessa volenterosa che non si fa piegare dal sistema. La presidente degli Usa Orlean interpretata da Meryl Streep ricorda molto Trump esasperandone populismo e interessi elettorali rispetto all’emergenza in cui versa il paese. La presentatrice del talk show al quale vengono invitati Dibiasky e Mindy è interpretata da Cate Blanchett e rappresenta l’ipocrisia dei media pronti a valorizzare followers, gossip, sorrisi di facciata, creare show al posto di informare la gente.
Come nei precedenti film e soprattutto in “La grande scommessa”, Adam McKay riesce a sviluppare il film allargando lo sguardo a quanto succede in altri mezzi di comunicazione. Qui i social sono strumento per la narrazione e obiettivo neanche troppo velato della deriva che la comunicazione delle notizie ha preso nel nostro mondo.
Un cast stellare
Una delle caratteristiche che ha subito attirato l’attenzione del pubblico, oltre al nome alla regia, è costituita dal cast stellare di questo film. Sono diversi i premi Oscar che vi recitano e la performance di tutti è sicuramente oltre la media. Ottima l’interpretazione soprattutto di Leonardo DiCaprio mentre agli attori e alle attrici già citati in precedenza bisogna aggiungere due figure, anche queste fortemente caratterizzate.
Il capo di gabinetto Jason Orlean interpretato da Jonah Hill che indica come l’amministrazione sia infarcito di raccomandazioni, è infatti il figlio della presidente in una posizione politica importante ma senza averne le competenze. Un personaggio a tratti volutamente demenziale nelle sue esternazioni riempito di egoismo, arrivismo e sorrisi di convenienza.
Mark Rylance interpreta invece Peter Isherwell un riassunto perfetto di tutta quella serie di aziende impegnate nel settore delle comunicazioni, dei social, dell’intrattenimento come per esempio Apple, Facebook, Instagram, la stessa Hollywood e Netflix. Un personaggio che ricorda molto il guru interpretato dallo stesso Rylance in “Ready Player One”.
Urla, negazionismo e indifferenza
Con un ritmo frenetico “Don’t look up” coinvolge lo spettatore in un vortice di urla, negazionismo e indifferenza con una punta di complottismo fotografando in modo generale il grave problema ambientale che sembra non interessare nel modo corretto i “centri di potere”. Oltre a far pensare vagamente alla situazione pandemica che stiamo vivendo da un paio d’anni. Stessa dinamica mediatica. La gara assurda a chi fa la voce più grossa attraverso i social e ottiene così più likes. Una gara volta a screditare e mettere in dubbio anni di ricerche di scienziati perchè la realtà dei fatti è sconveniente e, il rischio, è, apparentemente, lontano o “invisibile”.
Talmente lontano da non poter essere visto da gente che non alza nemmeno la testa, o meglio lo sguardo, nonostante l’invito a farlo rimanendo sempre piegata verso il proprio vivere, la propria realtà assurta a verità non negoziabile. Nel frullatore di questi eventi torna pian piano l’importanza delle relazioni vere, quelle fatte di ricostruzione dei rapporti autentici. Gli affetti più cari hanno infine una rilevanza e il quadro finale, nelle ultime scene del film è quasi una resa non all’evento catastrofico ma alla realtà sincera o meno che ognuno si è creato.
Voto: 7,7