Recensione in anteprima – (no spoiler) – Arriva nelle sale di tutto il mondo uno dei film più attesi del 2018. Attesissimo sin dall’annuncio della regia affidata a Steven Spielberg. L’adattamento del libro di Ernest Cline è stupore per gli occhi e meraviglia per il cuore degli spettatori e dei cinefili. Un atto d’amore per il cinema dal 28 marzo in Italia.
Columbus, Ohio, 2045. La maggior parte dell’umanità, afflitta dalla miseria e dalla mancanza di prospettive, si rifugia in Oasis, una realtà virtuale creata dal geniale James Halliday (Mark Rylance). Quest’ultimo, prima di morire, rivela la presenza in Oasis di un easter egg, un livello segreto che consente, a chi lo trova e vince ogni sfida, di ottenere il controllo di Oasis.
“Viviamo in un mondo in cui le persone non si preoccupano più di risolvere i problemi ma si interessano solo a tirare avanti”
Questa frase chiude la breve spiegazione iniziale da parte di Wade (Tye Sheridan) riguardo a quanto stiamo vedendo. Ci viene rivelata la sua data di nascita, dove e come vive e, scorgiamo, attraverso un bel pianosequenza, come buffamente si intrattengono gli altri abitanti del suo vicinato. Wade sta “caricando” così il suo gioco, come avveniva per i giochi a “cartuccia”, a “nastro” degli anni 80 sui commodore 64 o sull’Atari.
Wade ci introduce, ci intrattiene per partire con interesse e non avere tempi morti e il meccanismo del caricamento del videogioco di più di trent’anni fa è mutuato in funzione del film così da apparire introduzione, spiegazione. Lo spettatore si identifica subito nel protagonista come se fosse lui stesso il giocatore di quel grande gioco chiamato Oasis
“La gente viene su Oasis per tutto quello che si può fare. Ma ci rimane per tutto quello che si può essere”
Wade, come molti suoi amici e conoscenti e come gran parte degli abitanti del mondo, anche i più poveri, fugge dalla realtà, per ore, giornate intere. Mentre in “Matrix” le macchine/i robot rinchiudono l’umanità in una illusione dorata dove solo in pochi si accorgono della desolante realtà, in “Ready Player One” ci si rifugia consapevolmente nell’illusione di una realtà alternativa alla ricerca della felicità e in corsa verso il dominio di quel mondo virtuale.
Il nuovo film di Steven Spielberg ricorda quel second life, vero e proprio mondo virtuale, nato nel 2003 ma qui fortemente spinto nella componente ludica ed estremizzandone il concetto all’ennesima potenza. Si può pensare anche, vagamente, al “Tagliaerbe”, film del 1992 disconosciuto, dalla millantata fonte di ispirazione da Stephen King, e non si può poi non pensare al famoso ponte ologrammi di “Star Trek”, e, in particolare a un gioco di illusione nell’illusione di “Star Trek L’insurrezione”.
“Ready Player One” è l’adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Ernest Cline che ne cura anche la sceneggiatura insieme a Zack Penn. Sin dal 2010 molti sono stati i registi accostati o chiamati a dirigere questa pellicola: Christopher Nolan, Robert Zemeckis, Matthew Vaughn, Edgar Wright, Peter Jackson fino ad arrivare alla scelta finale, nel 2015: Steven Spielberg che appare, fin da subito, come la scelta perfetta. Il regista di Cincinnati è forse il più completo ed esperto per poter spaziare in maniera non banale negli anni 80-90 portandoli in maniera ordinata ai giorni nostri con una serie infinita di citazioni, tributi, richiami e omaggi.
Oltre ad essere una storia d’amore, una grande storia d’amicizia, un buon modo per fare critica e autocritica del mondo social molto poco social di oggi, oltre ad essere anche puro intrattenimento e videogioco sotto forma di film, “Ready Player One” è un gioco nel gioco, una ricerca costante di tutte gli “Easter Eggs” tipici dei videogiochi all’interno di una costante ricerca globale dell’Easter Egg che potrà risolvere Oasis e darne la proprietà al vincitore. Le citazioni sono talmente tante che non basta una visione, accanto a una maglietta riconoscibilissima con scritto “Asteroids” vi è una spilla sulla giacca di Halliday che è rappresentazione di “Simon” il noto gioco con i quattro spicchi colorati. Ed è giusto non rivelarne altre.
La regia è perfettamente equilibrata tra l’approfondimento delle interazioni dei vari personaggi, lo humour, immancabile per una pellicola che è puro divertimento, l’azione e il gioco. La caccia al tesoro e lo schema a livelli arcade è quanto di più anni 80 si possa pensare: quei videogiochi da bar, dove bisognava inserire il “gettone”, o meglio le 200 o 500 lire. Per coloro che hanno più di 30-40 anni è puro ricordo e nostalgia.
Presentato anche in 70mm (nei pochi cinema che possono proiettarlo al mondo e Arcadia Cinema di Melzo avrà la pellicola siglata come n°2), in Atmos per quanto riguarda l’audio e, ancora in 3D, il nuovo film di Spielberg promette effetti speciali mozzafiato, una scenografia e fotografia eccellente e una sceneggiatura senza respiro. La regia si lascia andare in virtuosismi molto apprezzabili citando e ripresentando film degli anni 80 che lo spettatore non faticherà a riconoscere, e non solo i più plausibili: “Tron” e “Ritorno al futuro”.
Per due ore e venti lo spettatore gioca e si appassiona, si meraviglia per quanto vede e viene toccato al cuore per quanto sente di nuovo e di nostalgico, di conosciuto e di imprevisto. Il meccanismo di inseguimento e fuga, anche attraverso i classici magazzini abbandonati è tipico dei telefilm degli anni ’80-’90, così come il gruppo di amici/avatar ricorda quegli indimenticabili film-avventura di quegli stessi anni da “Explorers” a “Stand by me”, da “Giochi stellari” ai “Goonies”. Un cattivo, a capo di una grande azienda che vuole dominare il mondo e un gruppo di giovani, poveri e spensierati capaci di salvare quel mondo. Schema classico e vincente che Spielberg ripropone in modo da sembrare retrò ma non vecchio.
Le interpretazioni di tutto il cast, forse non vengono totalmente esaltate da quel turbinio di immagini e giochi ma tutti sono in parte, dal protagonista Tye Sheridan all’emergente Olivia Cooke (“Me, Earl and the dying girl”), dal quasi irriconoscibile premio Oscar Mark Rylance al ben camuffato Simon Pegg. Tutti utili alla causa più grande: il puro divertimento.
“Ready Player One”, per uno spettatore di 30-40 anni è come trovare il ripostiglio, lo sgabuzzino, la cantina, la stanza segreta dei nostri ricordi nella quale i propri genitori hanno conservato le vhs, le musicassette, i giochi e giocattoli della nostra adolescenza e infanzia. Trovarla e, all’apertura venire invasi da una baraonda di emozioni, sensazioni e ricordi legati a quei tempi ormai andati dove l’illusione del virtuale era affascinante e che adesso invece appare per quello che è: virtuale, perché la bellezza del reale è che è reale.
Voto: 8,1