Recensione in anteprima – Venezia 76 – in concorso – Polanski conquista il consenso di critica e pubblico, mentre la presidente di giuria Lucrecia Martel si autocondanna ammettendo di non poter scindere uomo e opera. L’ufficiale e la spia (j’accuse) sarà nelle nostre sale a partire dal 21 Novembre.

Una lezione di storia?

Come suggerito dal titolo originale, Roman Polanski ci racconta per immagini la vicenda dell’affare Dreyfus, e della conseguente insurrezione di una parte della popolazione francese, culminante in quell’articolo di condanna pubblicato su l’Aurore nel 1898 da Émile Zola.

La storia ci viene proposta attraverso gli occhi di Georges Picquart (Jean Dujardin) che, dopo essere stato messo a capo della sezione di intelligence dell’esercito francese, si accorge di come il capitano Alfred Dreyfus (Louis Garrel) abbia subito una condanna ingiusta.

Il capitano Dreyfus era uno dei pochissimi membri ebrei dell’esercito francese sul finire dell’800 e l’antisemitismo, ci fa capire il regista già nella prima parte, regnava nelle menti dei militari francesi. Lo stesso Picquart ammette, parlando a Dreyfus in un flashback, di provare antipatia verso il popolo ebraico.

Nonostante la prima mezz’ora di film possa sembrare pesante e oltremodo leziosa, se ne capisce bene l’utilità; infatti lo spettatore paziente guadagnerà le conoscenze adeguate per seguire la seconda parte e verrà degnamente ripagato. Il film col passare dei minuti si trasforma in un’avventura storico-legale nella quale non mancano colpi di scena, scontri e frasi memorabili.

La storia è contemporanea perché ciclica

Cos’è diventato questo paese e come si comporta l’esercito, sono le questioni che si pone il protagonista mentre imperterrito persegue la personale ricerca di verità e giustizia, scontrandosi con molteplici esponenti di esercito e governo, tutti della stessa natura, insabbiatori.

“forse questo sarà il suo esercito. Ma non è il mio.”

Picquart in risposta ad un sottufficiale

La Francia di fine Ottocento è modello di ciò che sarebbe seguito, infatti Polanski (maestro) la trasforma in un attimo nella Germania del terzo reich, in una scena meravigliosa durante la quale, dopo la pubblicazione del famoso numero de l’Aurore, vediamo roghi del giornale e di altri libri di Zola, mentre sulle finestre dei negozi appaiono scritte antisemite, che ricordano (a noi) e anticipano (alla storia) la notte dei lunghi coltelli.

Criticare l’uomo perché l’artista è intoccabile?

Polanski non ha sempre fatto centro, nella sua filmografia vi sono opere dimenticabili, ma è stato un pilastro di quest’arte e con “J’accuse” dimostra di essere ancora quel fenomeno (il ragazzo ha 86 anni).

Ha trasposto questa storia perché si sente un po’ il capitano attaccato ingiustamente da ogni fronte; ha narrato una storia che non aveva bisogno di essere modernizzata, essendo essa stessa fonte di elementi d’attualità. Elaborando il romanzo di Robert Harris, accompagnato dalla moglie Emmanuelle Seigner e dagli altri fenomenali attori sopra citati, ha potuto ancora una volta dimostrare che l’artista non si tocca, che le mode come le stagioni passano, mentre il talento resta.

“-le piace quest’opera?

-è un falso.

-è una copia. É diverso”

Dialogo tra Picquart e un informatore.

Voto: 7.5

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *