Masterclass – Venezia 76 – La giornata di venerdì 30 agosto ha visto sul lido di Venezia splendere la luce di Pedro Almodóvar. Senza dubbio il regista più popolare del cinema spagnolo dell’età contemporanea, ha saputo riscattare la Spagna dopo il difficile periodo della dittatura di Francisco Franco. Appena ricevuto il Leone d’Oro alla carriera, nel corso della Masterclass tenuta in Sala Perla 2 alle ore 15, condotta da Piera Detassis, Pedro Almodóvar si è raccontato con onestà, percorrendo le tappe principali della sua vita e della sua carriera.

Spinto dal desiderio insanabile di diventare cineasta, da Calzada di Calatrava, nel cuore della Mancha, si spostò a diciassette anni a Madrid. Senza soldi e senza lavoro, senza una scuola di cinema in cui poter studiare, appena chiusa da Franco, si è saputo con forza e tenacia imporre sul territorio internazionale. Nel 1971 acquistò una prima cinepresa Super-8mm, col suo primo stipendio come amministratore alla Compagnia nazionale dei telefoni. È stato il volto della nuova Spagna democratica, liberalizzando l’individuo, e in particolare la donna, dalle false ipocrisie e moralità dei decenni precedenti.

Gli inizi nel cinema

“Importante è quando uno scopre il proprio linguaggio; quando lo fai per la prima volta hai l’impressione che lo stai creando tu il cinema. Non importa quanto le diverse inquadrature siano già state fatte da altri registi prima di te, sei tu che le stai inventando. Quindi, con la mia Super-8, lavorando e facendo produzioni domestiche con attori amici, ho iniziato”.

Così Pedro Almodóvar racconta il suo avvio nel cinema, spiegando quanto sia fondamentale guardare dentro se stessi e nel mondo circostante.

“L’importante è essere sinceri, perché questo è l’unico modo per poter veramente dire le cose”.

Se nel tuo cuore c’è un vero desiderio, non servono certificazioni da parte del mondo esterno. Con questo desiderio, guida costante per Almodóvar, è possibile diventare l’individuo di cui il mondo ha bisogno. Non a caso, proprio “El Deseo” si chiama la casa di produzione fondata col fratello Agustín nel 1986.

Riferimenti e modelli cinematografici

Molteplici sono stati i modelli per l’arte di Pedro Almodóvar. Emigrò con la famiglia, negli anni ’60, come da lui mostrato nell’ultimo film “Dolor y Gloria”, in un piccolo paese nell’Estremadura. Ebbe così l’opportunità di vedere per la prima volta, nelle proiezioni estive, seppure in modo disordinato, molti spaghetti western, cinema messicano, e grandi autori come Buňuel, Antonioni e Orson Welles.

Dopo essersi poi spostato a dieci anni, per la scuola, a Cáceres, capoluogo della regione, la sua visione poté iniziare a raffinarsi e ampliarsi. Ottenne infatti l’accesso al cinema americano e cominciò ad innamorarsi del Technicolor. Tutto è iniziato da lì, e i colori stravaganti che impreziosiscono i suoi film, ci dice, devono tutto alla potenza cromatica del Techicolor, unita ai ricordi delle immagini e delle figurine collezionate nell’infanzia.

Rapporti con l’Italia

Molta presa sulla sua immaginazione la ebbe poi anche il cinema italiano, e in special modo il Neorealismo, visto da Almodóvar come l’unico genere sempre attuale, che non necessita di essere ammodernato. Proprio in Italia poi, e proprio dal Festival del Cinema di Venezia, si vide per la prima volta apprezzato a livello internazionale.

Entre Tinieblas – L’indiscreto fascino del peccato

Il 1983 fu infatti l’anno di “L’ indiscreto fascino del peccato”.

Dovette lottare contro la censura democristiana dell’epoca, impersonata da Gian Luigi Rondi, allora Direttore della Mostra. Egli accusò il film di essere osceno e anticlericale, e la pellicola venne salvata dalla pressione mediatica. Era infatti arrivata in bocca alla stampa la notizia del rifiuto del film da parte della commissione. La forte discussione che ne scaturì rese impossbile la non partecipazione di Pedro Almodóvar al festival.

Vincendo questa lotta contro la censura, si mostrò di nuovo essere artista tenace, arrivando al lido di Venezia insieme a uno stuolo di donne, suore, lesbiche, omosessuali e drogati. Averlo di nuovo quest’anno al festival, non può che risultare un forte messaggio contro ogni possibile pregiudizio e intollerante ideologia che vorrebbe eliminare la libertà intellettuale.

Donne e libertà di genere

Ben prima delle discussioni sul potere alle donne, oggi più che mai attuale, Pedro Almodóvar ha sempre reso le donne protagoniste ed eroine delle sue storie, insegnando al mondo la forza del rispetto per ogni identità di genere. Non solo le donne sono infatti i principali protagonisti dei suoi film, ma anche transgender, omosessuali, drogati.

Come ci testimonia, coi suoi film ha infatti sempre tentato di trasmettere l’importanza dell’autonomia morale. Ci racconta come in Spagna fino a trent’anni fa nel caso della riassegnazione del genere bisognasse prendere appuntamento con un esperto medico forense e spogliarsi davanti a questo esperto che avrebbe stabilito se i genitali effettivamente appartenessero all’identità dichiarata.

“A prescindere dalla sessualità, le persone sono quello che sono e ciò che credono di essere”

ci dice. Questo è ciò che nel cinema ha sempre rappresentato.

Impegno pedagogico

I suoi personaggi si trovano spesso in situazioni deliranti, difficili, eppure mantengono sempre una grande libertà di fronte a qualunque situazione, e non si fanno influenzare dai pregiudizi, a prescindere anche da quella che è la loro classe sociale.

Questo è senza dubbio l’insegnamento più grande trasmesso dai suoi film.

Seguendo l’esempio di François Truffaut, l’impegno pedagogico è sempre stato fondamentale, finendo anche a far conoscere in tutto il mondo la ricetta del gazpacho secondo Carmen Maura. “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, premiato a Venezia nel 1988, e rivisto dopo la consegna del Leone d’Oro, è una prova di quanto il suo cinema abbia saputo rivoluzionare il mondo.

Evoluzione cinematografica

Riconoscendo le fasi percorse nella sua carriera come tasselli fondamentali e diversi della sua cinematografia, ci racconta quanto sia fondamentale la scelta di un’inquadratura. Anche un primo piano può racchiudere inedita complessità, mentre nel campo lungo, come accade in “Dolor Y Gloria”, si può osservare il dolore della solitudine.

Nel corso della sua carriera si è via via avvicinato sempre di più ai suoi protagonisti, e gli elementi barocchi dei suoi primi film sono diminuiti gradualmente. Ciò che permane costante è l’amore per l’arte, rappresentata dai quadri che impreziosiscono le sue pellicole, spesso suoi personali. Perché, infatti, ci dice:

“ho sempre pensato che i quadri, ma anche lo stesso cinema, i libri, siano la migliore compagnia per riempire il vuoto che uno può avere”.

Anche per questo i suoi film sono ricchi di simbologie, nascoste nei dipinti e nei colori con cui affresca il suo cinema.

El duende – García Lorca

“El duende”, reso famoso dalle opere di Federico García Lorca, è un elemento importante per Almodóvar. Ce lo descrive così:

“non ha una definizione precisa ed esatta e chiara. Però rappresenta tutto ciò che nell’arte è diciamo inafferrabile, sfuggente e anche non spiegabile direttamente, ma che vediamo che in noi crea delle emozioni e soprattutto segna la nostra vita. “Il duende” è tutto ciò che è regalo o grazia che ci viene dalla Natura. “Il duende” è tutto quello di cui tutti noi abbiamo bisogno, perché ci dà piacere e perché ci riempie”.

Di questa forza ed eleganza misterisa, spesso inspiegabile, è pregno il cinema di questo geniale cineasta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *