Venere nera, lunedì 19 ottobre 2015, LaEffe, 23.40. – Purtroppo il film del giorno è in seconda serata e la durata non aiuterà i cinefili che hanno la sveglia puntata l’indomani: il film di Abdellatif Kechiche ricorda qua e là capolavori del passato come il lynchano The Elephant Man e La donna scimmia del nostro Marco Ferreri. Merita una visione, come i suoi due predecessori.
VENERE NERA
(Venus Noire, 2010, FRA, BEL)
Drammatico
Regia di Abdellatif Kechiche
Con: Yahima Torres, Andre Jacobs, Olivier Gourmet, Elina Lowensohn, Francois Marthouret
Durata: 166 minuti
Trama:
Il film ripercorre la breve vita di Saartjie Baartman, ragazza ottentotta che nei primi anni del XIX secolo veniva esibita come fenomeno da baraccone dal suo padrone afrikaner a Piccadilly Street, dove interpretava la “venere Ottentotta”, una selvaggia mantenuta in catene. Dieci anni dopo il suo corpo viene esibito dal professor Georges Cuvier all’Accademia Reale di Medicina di Parigi, per evidenziare le somiglianze anatomiche fra gli ottentotti e le scimmie.
RECENSIONE
Grande e sorprendente film: lezione sui limiti dello sguardo e sul confine tra moralità e immoralità dell’osservazione: fin dove ci possiamo inoltrare? Fin quando è lecito penetrare con i nostri occhi? Impietoso nella catalogazione delle peculiarità fisiche di Saartije, il cui corpo è vittima prima dello spettacolo e poi della scienza. lo sguardo fiero, la testa alta, la colonizzata dagli europei non sembra fare caso al punto di approdo della sua tragedia privata, finendo sul palco di un freak show per poi essere una curiosità per il “gran mondo” parigino, infine rivenduta come prostituta a un bordello e scacciata una volta ammalata. muore e il suo corpo continua a essere sfruttato e vivisezionato anche dopo: estratti gli organi genitali sarà esposta al museo dell’uomo.
A Kechiche l’aneddoto storico interessa sicuramente, nel senso che mostra come la storia di Saartije sia la punta di un enorme iceberg di sfruttamento, ingiustizia e razzismo (aspetti che avevano radici profonde anche nell’élite intellettuale), ma la sua regia è come sempre puntata sull’uomo, sul gruppo, sulla morbosa curiosità visiva scatenata dalla scandalosa e eccessiva donna boscimane: l’incrocio tra sguardi volitivi e i pietosi spettacolini di Londra è perturbante e lo è, ancora di più, nella sequenza del processo; qui Kechiche cesella un impressionante montaggio di dettagli, su occhi, bocca, rughe, carne: nel processo dove Saartje accetta il suo essere schiava e quindi dà inizio al suo martirio il regista fa il suo omaggio a Dreyer. (recensione di Giuseppe Gangi alias Noodles)