Recensione 20 anni – Oscar, Golden Globe e Orso d’argento a Charlize Theron diretta da Patty Jenkins nella pellicola del 2003 sulla storia vera della serial killer americana Aileen Wuornos. Un film su una donna, prima che su un’assassina, girato da una donna e intensamente interpretato da un’attrice protagonista che ha trovato così la sua consacrazione. Uscito nelle sale italiane il 30 aprile 2004

Aileen

Aileen “Lee” Wuornos (Charlize Theron) si prostituisce fin da piccola per sopravvivere. Un giorno, sull’orlo del suicidio, incontra Selby (Christina Ricci), una ragazza lesbica giovane e insicura, allontanata dalla famiglia. Dopo un’iniziale diffidenza, tra le due nasce un legame forte, un sentimento che sfocia in una relazione. Aileen vorrebbe cambiare vita, ma lo stupro da parte di un cliente fa saltare i suoi piani e le sconvolge definitivamente la vita.

Quando Patty Jenkins (Wonder Woman, Wonder Woman 1984) decide di realizzare il suo film d’esordio su Aileen Wuornos, serial killer accusata di aver ucciso sette uomini e condannata a morte, le scrive una lettera nel carcere di Raiford, in Florida, dove la donna è rinchiusa da 12 anni. Le racconta tutto ciò che pensa della sua storia, prospettandole un film sulla sua vicenda, senza però entrare nei particolari di come avrebbe voluto portarla sullo schermo. La Wuornos le risponde e decide di condividere con lei e Charlize Theron, il giorno prima dell’esecuzione, la corrispondenza personale scambiata in quei lunghi anni con la sua migliore amica.

Così nel 2003 nasce Monster, dalle carte del processo, dalle deposizioni, dai filmati delle interviste, dai libri, dai colloqui e dalle lettere che hanno arricchito di dettagli preziosi la sceneggiatura scritta dalla Jenkins e l’interpretazione della Theron.

Disciplina

Narratrice fuoricampo di se stessa, la voce della Wuornos/Theron introduce e racconta la sua storia dall’esterno, con il sapore amaro del rimpianto.

“La cosa che nessuno ha mai capito o ha creduto di me è che io sapevo apprendere. Potevo disciplinarmi per fare qualsiasi cosa. Non avevano idea di quanto fossi capace di disciplinarmi quando credevo in una cosa”

Aileen impara a sopravvivere, a prostituirsi, a difendersi, a uccidere. Aileen vuole imparare a lavorare onestamente, a vestirsi come le altre donne, a vivere in una casa vera. In tutti i suoi tentativi di rinascita è però troppo goffa, troppo aggressiva, troppo poco titolata per riuscire, ma non smussa (o non vuole smussare?) a sufficienza i propri angoli e così sprofonda nuovamente nel suo baratro.

A trascinarla ancora più a fondo è il personaggio di Selby, ricalcato sulla vera amante della Wuornos, Tyria Moore: dall’incontro di due solitudini nasce una relazione profonda, dettata da un disperato bisogno di amore di entrambe.  Selby è però un personaggio ambiguo, disturbante (perfettamente interpretato dal Christina Ricci) il cui candore si sporca presto per difendere un’innocenza, la propria, ben poco credibile moralmente.

Il mostro

Nei ricordi della Wuornos/Theron, il “mostro” è una ruota panoramica, un’attrazione irresistibile per Aileen bambina che però, una volta iniziato il giro – racconta – ne viene talmente sconvolta da non riuscire a trattenere il vomito. Questa è anche la vita di Aileen adulta: sempre alla ricerca di qualcosa di migliore, di un’illusione che possa tirarla fuori da un abbrutimento senza fine, ma è ogni volta un abbaglio, una durissima sconfitta, che innesca un desiderio di vendetta che la risucchia in un vortice di violenza da cui lei stessa non vuole uscire.

Patty Jenkins gira un film su una donna, prima che su un’assassina, con uno sguardo e una sensibilità che forse solo una regista donna avrebbe potuto avere. E così dirige Charlize Theron, altrettanto sensibile, che già dalle prime inquadrature si stenta a riconoscere, completamente immersa com’è in una fisicità che di femminile ha ben poco. Il volto segnato dall’alcool, dalla malattia, dal sole di una vita senza riparo; la bocca sempre preda di una smorfia nervosa; i capelli accuratamente messi in piega con un asciugatore elettrico nel bagno di un bar; il fisico appesantito e i modi mascolini di una highway hooker tutt’altro che affascinante.

La vicenda di Monster pone domande ambigue su quanto narrato e per scelta della regista sembra fornire una versione univoca della storia, dalla parte di Aileen pur senza farne un mito. Storia potente di degrado e solitudine, sulla condanna sociale prima ancora che penale di una donna incapace di trovare il proprio posto in un mondo dominato dalla brutalità degli uomini: la rivolta altrettanto brutale di un animale in gabbia, di un mostro incomprensibile e incompreso.

Voto: 6,8

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