Recensione in anteprima – Debutto alla regia per Michael B. Jordan che riprende i panni di Adonis Creed, figlio di Apollo, nel terzo capito della serie “Creed”, il nono film della saga che ha preso vita con “Rocky” nel 1976 e il primo film senza la presenza di Sylvester Stallone. Nel solco dei precedenti capitoli e con qualche idea interessante “Creed III” emoziona pur non avendo nulla di particolarmente originale. Al cinema dal 2 marzo.

La storia

Adonis (Michael B. Jordan) si è ritirato dagli incontri di boxe e gestisce, tra le altre cose, una palestra dove giovani pugile cercano di intraprendere la propria carriera. Del resto anche sua moglie, prossima a rischio di perdere l’udito come del resto la figlia non udente, ha lasciato la carriera di cantante e ora si limita a produrre i successi discografici di altri. Quando però Adonis incontra Damian (Jonathan Majors), detto Dame, suo vecchio amico dei giorni in cui viveva in una casa famiglia, realizza di avere con lui un debito da pagare.

Damian infatti era andato in galera nel corso di una rissa che proprio lui aveva scatenato, inoltre Adonis non gli è stato vicino negli anni di carcere. Damian sembra chiedere l’impossibile: un incontro di pugilato per il titolo dei pesi massimi, ma del resto lo stesso Adonis aveva avuto una analoga chance, quindi come potrà dirgli di no?

Sequel diretto di “Creed II” il film inizia con Adonis e Damian giovani. L’antefatto è importante per poi capire tutta l’intera vicenda ma si interrompe e i rapporti tra i due vengono spiegati meglio pian pian durante tutto l’intero film anche con brevi flashback.

Creed, come Balboa

Questo terzo capito di Creed ha delle somiglianze con Rocky III. Adonis, come Rocky si è praticamente ritirato dalla boxe attiva e abita una bella villa con tutti i confort, gli agi e le ricchezze che la sua attività ha portato. Niente più povertà, nemmeno, ovviamente nell’auto, appariscente quanto basta.

Non c’è un vanto di tutto questo ma è anche motivo di scontro con Damian proprio quando si ritorna a parlare di origini. Damian sembra rincorrere un universo parallelo nel quale la “sliding door” che l’ha portato alla prigione invece lo porterà ad avere la vita di Adonis che lui pensa di meritare.

La prima parte del film è la parte che funziona sicuramente un po’ meno perchè fatica a prendere il ritmo della narrazione, l’equilibrio tra passato e presente creando un po’ di confusione di intenti. Ma è anche specchio dell’Adonis che deve ritrovarsi tra le priorità della sua vita e la destinazione delle sue forze fisiche e mentali.

Colpi arrivati a segno

La sceneggiatura è buona anche se non eccelle in scene madri e in dialoghi memorabili. Sicuramente efficace sviluppa una trama non originale che, probabilmente non vuole nemmeno esserlo puntando a citare qua e là elementi della saga di Rocky.

“Creed III” mette a segno dei buoni colpi sia a livello registico, interpretativo del cast e di scelta di argomenti non nuovi ma trattati con la giusta sensibilità. In un paio di scene Michael B. Jordan crea un bellissimo effetto di contrapposizione nelle due condizioni emotive dei protagonisti come la scena in chiaroscuro negli spogliatoi prima del primo incontro di Damian.

Il rapporto tra Adonis e sua figlia è molto particolare e non solo per la sordità della stessa. Viene trasmesso allo spettatore tutto l’affetto di un padre che sa essere aggressivo sul ring e dolce e tenero con la propria figlia anche quando deve insegnarle “a difendersi” a scuola tramite l’esercizio della boxe.

Per la prima volta, considerando che Creed prende vita da Rocky, nella saga non è presente Sylvester Stallone nella sua parte. Lo troviamo come produttore e alcune incomprensioni relativamente a compensi ed idee sul film lo hanno allontanato. Sinceramente la sua presenza sarebbe stata forse una comparsa inutile ed è emblematico lo scontro finale in totale assenza di pubblico, in un’atmosfera surreale e sospesa, una scelta interessante.

Voto: 7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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