Recensione – Distribuito su Apple TV+ il 9 dicembre, questo ultimo lungometraggio di Antoine Fuqua, famoso per il suo lavoro nel genere principalmente action/thriller, ci porta ad affrontare la tematica della schiavitù sotto una diversa luce. Nel cast brillano Will Smith – volto del protagonista, lo schiavo della Louisiana PeterCharmaine Bingwa – interprete della moglie Dodienne – e Ben Foster – il cacciatore d’uomini Jim Fassell.

Raggiungere la libertà

Il film parte dal “Proclama di Emancipazione”, emanato dal presidente Abraham Lincoln l’1 gennaio 1863, il quale dichiarava che tutte le persone tenute schiave erano libere.

In seguito, oltre 400.000 uomini e donne di colore fuggirono verso la libertà, inseguiti e spesso braccati dagli schiavisti. Solamente il 19 giugno 1865, gli schiavi in America vennero ufficialmente riconosciuti liberi. Ci troviamo nel pieno della guerra di secessione americana, combattuta dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865.

Tali eventi storici fanno da cornice alle vicende di Peter (Will Smith), schiavo sotto il capitano John Lyons (Timothy Hutton), coltivatore di cotone sul fiume Atchafalaya, situato nel centro meridionale della Louisiana, e venduto in seguito a Jim Fassell (Ben Foster), per la costruzione della ferrovia di Clinton nell’Iowa. Da lì fuggirà, inseguendo il richiamo della libertà e il suono delle forze armate terrestri dell’Union Army, situate a Nord. Dopo giorni di fuga in mezzo alle paludi, raggiungerà Baton Rouge, finendo a combattere insieme ai soldati della 1a Guardia nativa della Louisiana.

Sotto la guida della fede

Ad intrecciare insieme le vicende storiche di un intero paese, e la vita personale di Peter, vi è la luce di Dio. Nonostante le torture subite durante tutta la sua esistenza, l’uomo non ha mai smesso di lottare, mai piegato nello spirito e nella sua natura di combattente. La sua forza si rispecchia in ogni gesto, nel suo non abbassare mai la testa di fronte agli abusi, e nel difendere la vita degli altri uomini. Passato alla storia come vero volto della schiavitù, il suo ritratto fotografico “Whipped Peter – Peter il fustigato”, scattato il 3 aprile 1863, ha fatto il giro del mondo, come autentico grido di battaglia.

La fede incrollabile nel potere divino, da cui trarre ispirazione e grazie a cui credere in un futuro migliore e libero, trovando la forza per resistere, si rispecchia anche in Dodienne (Charmaine Bingwa), collante della famiglia. Costretta a cercare in sé nuova forza per tenere insieme i figli, mettendo da parte i propri sentimenti e il dolore personale, trasmette un ulteriore messaggio di emancipazione. Il suo esempio e la fede dell’intera famiglia contrastano con la brutalità e l’orrore trasmessi dagli schiavisti, che usavano la religione, mutandone parole e travisandone messaggi, come giustificazione delle violenze inferte agli schiavi.

Un messaggio universale

Questo film va dunque ben oltre il racconto delle vicende della schiavitù americana, e non è uno degli ennesimi film, narrazione di questa storia locale. Il grido di libertà e la voce della fede sono infatti senza frontiere e sempre attuali. Contro le molte violenze e i soprusi subiti in diverse parti del mondo e in forme diverse, oggi si deve ancora trovare la forza per resistere, e per non farsi soffocare, nonostante tutto, nella propria identità di persone.

Antoine Fuqua riesce a trasmettere la vera essenza di questo messaggio, a partire dall’uso magistrale della fotografia, ad opera di Robert Bridge Richardson, vincitore dell’Oscar per i film “JFK – Un caso ancora aperto”, “The Aviator” e “Hugo Cabret”. L’uso frequente della sovraesposizione, che esalta gli attori in ogni inquadratura, e i colori dalle basse intensità, rendono l’insieme estremamente potente e compatto a livello visivo, e le emozioni traspaiono da ogni immagine.

Voto: 8

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *