Recensione in anteprima – 3D – A tredici anni di distanza dal successo commerciale, di pubblico e critica del primo capitolo, James Cameron torna al cinema per questo attesissimo secondo capitolo. Nuova via, quella dell’acqua ma sempre gli importanti temi politici e ambientali. C’è la famiglia al centro della vicenda ma non è sola. Rimane e si amplia lo sbalordimento di una tecnica 3D che immerge totalmente lo spettatore nella vicenda. Al cinema dal 14 dicembre.

La storia

Jake (Sam Worthington) vive felicemente la sua vita insieme a Neytiri (Zoe Saldana) ma Pandora nasconde ancora numerosi misteri. In veste di patriarca si ritroverà a dover combattere una dura guerra contro gli umani.

Se ci si basasse solo sulla sinossi, il primo dei quattro sequel annunciati e più volte rimandati vivrebbe di una trama molto poco originale, troppo scarna, semplice e probabilmente ripetizione, sotto certi aspetti, del film originale. L’attesa di 13 anni per tornare a Pandora invece offre molto, molto di più.

Si ritorna in un mondo, Pandora, che ha affascinato lo spettatore e si ritorna a parlare di Jake. I primi minuti son un riassunto veloce del tempo trascorso dal primo capitolo ed è una narrazione degli eventi fatta con voce fuori campo, come l’incipit del primo capitolo ma con molta più intensità, calore. Jake ci presenta la sua famiglia, quella che sarà la protagonista indiscussa delle oltre tre ore.

“Avatar, la via dell’acqua” racchiude in sé anche la grande curiosità e le grandi aspettative relativamente al comparto tecnico. Quel 3D che aveva affascinato 13 anni fa e che si conferma e, anzi si spinge ulteriormente sempre più in alto nella qualità. Inizialmente cerca anche di strafare con immagini che vanno verso lo spettatore ma subito il film ritorna al 3D per cui è noto: un’avventura immersiva per gli occhi con una profondità di scena e dettagli (anche grazie all’HFR48) che non ha pari. Si ha l’impressione di essere parte della scena.

Una famiglia, più famiglie, una comunità

La famiglia di Jake e Neytiri è composta da 2 figli adolescenti (Neteyam (Jamie Flatters), Lo’ak (Britain Dalton), una figlia adottiva (Kiri, ma qui non ne sveleremo le origini), una piccola bambina di 8 anni (“Tuk” (Trinity Bliss) e un componente in più, Spider (Jack Champion), l’unico della famiglia di natura umana, gli altri, Neytiri esclusa, sono mezzosangue, ibridi, non Na’vi originari. Hanno infatti 5 dita delle mani e dei piedi e tratti misti.

Ma la famiglia di Jake vive all’interno delle tradizioni Na’vi e quindi è collegata con tutte le altre famiglie della foresta, in una comunità di cui Jake ne è diventato guida. Il ritorno degli umani riaccende la guerra. Una guerra molto più feroce, molto più subdola e fortemente legata, in termini di rivalsa e affettivi al capitolo precedente.

Anche in questo film la componente natura è predominante. Una natura da rispettare e con la quale entrare in contatto anche quando non la si conosce, anche quando non è più quell’habitat in cui si è cresciuti. Nella prima parte del film, forse quella un po’ più lenta e forse dispersiva si cerca un nuovo inizio per tutti. Un’adeguarsi alle difficoltà che la vita ti impone. Un ritrovarsi tutti uniti verso la propria meta, i propri obiettivi.

Sentirsi, vedersi, esserci

Lo spettatore che vedrà “Avatar, la via dell’acqua” solo per gli effetti speciali rimarrà particolarmente sorpreso da una maggiore profondità di trama. Un’articolazione della stessa forse semplice ma funzionale, fluida e coerente con i personaggi. Alcune scelte son dettate dalla cecità delle caratterizzazioni messe in campo al fine di esaltarne l’inadeguatezza, la stupidità, l’arroganza e il lavoro migliore è sicuramente stato fatto nelle relazioni familiari.

Jake non è solo il padre di famiglia, non lo impara solo negli anni che ci vengono narrati nell’incipit del film, lo farà strada facendo, mettendosi alla prova contro il nemico, contro il pericolo. Non è solo colui “che protegge”. I figli non affrontano solo e nuovamente un percorso di crescita ma anche una scoperta del profondo senso di appartenenza a sé stessi, alla vita, agli altri, a Pandora stessa.

“Io ti vedo”

Vedersi, sentirsi, capirsi a gesti in un ambiente, l’acqua che ha consistenza ma non ha forma, che non ha inizio e non ha fine, che scorre, che deve essere governato e respirato, come nella vita di ognuno, sulla Terra o su Pandora, poco importa. Un’apnea può essere vita o morte, un’amicizia, un amore, un perdita, un dono, tutto si comprende, si accetta, si sente e si supera.

“Avatar, la via dell’acqua” è un film che va visto al cinema per l’esperienza immersiva che dona. La qualità delle immagini non è comprensibile a casa e soprattutto non in versione 3D, ma non è il solo punto di forza. La trama merita attenzione più di quanto una semplice vicenda racchiude.  Le oltre tre ore non si fanno sentire per nulla tanto da voler stare ancora in sala anche a fine proiezione. Se siete vicini alla sala Energia di Melzo, quello è il cinema ideale per fare un nuovo viaggio su Pandora.

Voto: 9

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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