Recensione in anteprima – no spoiler – Secondo capitolo dedicato a Black Panther nell’universo MCU. Un film che deve necessariamente fare i conti con la scomparsa del suo interprete protagonista. Tanta commozione, e tanta presente assenza in un film che cerca nuove strade, le trova ma si perde in alcune di esse. La lunghezza non aiuta e qualche discutibile (illogica) scelta depotenziano qualche passaggio. Al cinema dal 9 novembre.
Il re è morto
Re T’Challa (Chadwick Boseman) è stato colpito da un grave malore e la distruzione dell’erba a forma di cuore causata da Killmonger rende impossibile trovare per lui una cura. Un anno dopo la morte del sovrano, i vari Paesi del mondo si fanno sempre più aggressivi nel tentativo di entrare in possesso del prezioso e potente vibranio, che il Wakanda rifiuta di vendere. Viene scoperto un nuovo possibile giacimento del metallo sul fondo dell’Oceano Atlantico, ma la spedizione internazionale è sterminata da misteriosi uomini dalla pelle blu, capitanati da un re capace di volare: Namor (Tenoch Huerta). Questi ritiene che l’interesse dei Paesi di superficie per il suo regno sia colpa della politica del Wakanda, così pretende che siano i wakandiani a neutralizzare la scienziata (Dominique Thorne) che ha scoperto come trovare il rarissimo metallo…
A guidare il Wakanda c’è la regina madre Ramonda (Angela Bassett) ma c’è quella grande assenza che aleggia per tutto il film. La scomparsa improvvisa nella vita reale del compianto Chadwick Boseman si ripercuote su tutto il film e soprattutto sull’incipit. Un inizio che diventa pian piano e con molto tatto, un omaggio all’attore. La scritta Marvel Studios totalmente dedicata a lui ne sancisce nuovamente l’importanza e il silenzio che contraddistingue la scena sottolinea, più di mille, parole, l’effetto e l’affetto che tutto il mondo MCU (e gli spettatori) hanno creato intorno al personaggio e al suo inteprete.
Wakanda al femminile
Di tutti i supereroi che avrebbero dovuto incontrare la morte, prima o poi, nel corso dell’evolversi nel tempo dell’MCU, molto probabilmente il Black Panther di Chadwick Boseman sarebbe stato quello in fondo alla lista di Disney (e Marvel Studios). Sicuramente per una buona importanza come supereroe ma, soprattutto per il carisma di Chadwick Boseman e la solidità di un personaggio proveniente dal continente africano e che può incarnare il “black power” in un universo prettamente “bianco”.
Lo scettro passa dal re alla regina, ma, simbolicamente alla principessa Shuri (Letitia Wright), la sorella di T’Challa. Una donna di scienza, apparentemente lontana dal misticismo e dalle tradizioni del suo popolo e costretta a crescere velocemente e a prendere il suo posto da leader in Wakanda. Un Wakanda totalmente femminile trasformando quel messaggio di riscossa della popolazione afroamericana in un’apertura verso un “girl power” mai forzato ma alla lunga, nel corso delle oltre due ore e 40 minuti del film, diventa troppo carico.
Schietti contro tutti
I 161 minuti, purtroppo, si fanno sentire abbastanza noiosamente nella parte centrale che, in realtà, doveva portare una sorta di fascinazione verso il mondo sottomarino di Namor. In tutto questo tempo, però, il regista riesce a gestire anche una forte accusa al mondo occidentale. Sia riguardo al presente delle vicende del film dove francesi e americani cercano di “depredare” il Wakanda per entrare in possesso del vibranio. Sia riguardo al passato della storia del centramerica che ha visto gli spagnoli colonizzatori depredare le popolazioni autoctone dalle quali ha origine il popolo di Namor.
E’ quindi un film Marvel un po’ più politico dei precedenti, senza affondare totalmente il colpo. Cercando vanamente, però, di trovare una ragione logica per il conflitto tra Namor e il mondo “di superficie” nonostante proprio questo villain funziona e affascina, per le sue doti, per il background creato e per le potenzialità che può dare a un universo MCU troppo orfano di Black Panther
Non funziona però la replica di quanto visto altre volte in altri film dell’universo Marvel… quell’apprendista, genio, neofita che è rincorso dai “cattivi” e cerca (o trova) protezione presso i supereroi. Stiamo parlando di Riri Williams / Ironheart (Dominique Thorne) abbastanza ai margini della vicenda nell’economia di una trama (e di uno sviluppo di sceneggiatura) che offre diversi punti dubbi, poco logici a livello strategici e, sicuramente poco originali.
Forever
Il “forever” del titolo si esplicita con la costante presenza dell’assenza di Chadwick Boseman. Non solo la parte iniziale totalmente dedicata al personaggio, al suo ricordo, al suo lascito emotivo. Anche la parte finale ha un forte richiamo alla sua figura da Black Panther. E quello che è il ricordo si fa omaggio a un attore, a una persona che trasforma l’intero film pieno sì di azione ma anche un po’ più riflessivo e certamente, con la quasi assenza di battute, ironia e comicità.
C’è il rischio che questo ricordo costante si faccia stucchevole e offuschi anche quanto di buono questo nuovo film cerca di creare, cercando di riposizionarsi, con forza all’interno di un universo che deve necessariamente continuare una storia.
Un film riuscito solo in parte.
Voto: 7,1