Recensione in anteprima – Terzo lungometraggio di Alex Garland che porta sul grande schermo un horror molto psicologico e angosciante specchio, anche troppo riflettente, di una realtà subita dalle donne nei rapporti con l’uomo. Ottima prova degli attori coinvolti, a iniziare da un Rory Kinnear che interpreta numerosi e diversissimi personaggi. Al cinema dal 24 agosto.

La storia di un rapporto in(finito)

Dopo avergli comunicato la volontà di divorziare, sfociando in un violento alterco coniugale, Harper (Jessie Buckley) assiste alla morte del marito, James (Paapa Essiedu), senza sapere se si tratti di suicidio, come da lui minacciato, o di una fatalità. Il senso di colpa e l’ossessione di aver causato la tragedia spingono Harper a isolarsi in una villa nella campagna inglese del Gloucestershire. Qui fa la conoscenza di Geoffrey (Rory Kinnear), l’eccentrico padrone di casa, e in seguito di una serie di individui di crescente e inquietante bizzarria, tutti con lo stesso volto di Geoffrey.

L’isolamento di Harper porterà a conseguenze imprevedibili e la trama del film in realtà è esaurita tutta in quelle poche e semplici righe. Alex Garland preferisce concentrarsi su un messaggio molto preciso e fin troppo chiaro e su un’estetica molto curata con colpi da vero film horror.

La storia precedente di Harper non viene descritta. Come si è arrivati alla rottura tra lei e il marito? Il dubbio suicidio/fatalità rimane e il regista ci gioca spesso molto bene. In realtà questi due argomenti così come tutti gli altri che potrebbero arricchire la narrazione non sono il fulcro del film e rimangono necessariamente sullo sfondo.

Le visioni (ir)reali

Dopo un’introduzione molto attenta a presentarci la situazione, pian piano, durante il film, si palesano delle scene surreali, angoscianti, paurose che si incastrano con la vacanza di Harper in modo sempre più frequente e invadente.

Sono scene che si innestano talmente nel film da non poter capire se si tratta di visioni di Harper e della sua immaginazione oppure di cose che accadono realmente. In ogni caso queste scene o visioni costituiscono il vero e proprio filo conduttore del messaggio che Alex Garland vuole donare allo spettatore in modo esplicito. Forse troppo esplicito riguardo tutte le forme di tossicità dell’amore, possesso, dell’uomo nei confronti della donna, sia essa moglie, ex moglie, fidanzata, persona che piace, ragazza appena conosciuta e attraente.

Oltre il femminismo

E’ qualcosa che va oltre il semplice femminismo e sfocia in una chiara accusa totalmente e volutamente sbilanciata. Si ha l’impressione di trovarsi, nel corso dello svolgersi del film, in un tribunale cardassiano di trecchiana memoria. Un tribunale dove è già decisa la pena e, soprattutto, è già decisa la colpevolezza.

Tutti gli uomini, anche quelli che sembrano essere normalmente e ben disposti verso Harper, sono colpevoli. Un atteggiamento, un’ossessione, una persecuzione, un vittimismo, basta una sola caratteristica, senza farne emerge la provenienza. Un rischio per Alex Garland che alla lunga stanca e rende più piatto del dovuto il messaggio dell’intero film che poteva essere più costruttivo.

Tutto l’impianto horror invece, grazie a musiche, scenografia, montaggio, regia regge molto bene ed è sicuramente la parte migliore del film che gode di un’estetica di primo ordine e invidiabile.

Voto: 6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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