Recensione in anteprima – Roma FF16 – Selezione ufficiale – Giuseppe Bonito, al suo terzo film, porta sul grande schermo l’Arminuta, tratto dall’omonimo romanzo bestseller di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del premio Campiello 2017. Al cinema da giovedì 21 ottobre.
La trama
L’Arminuta affronta una delle paure più profonde di ogni individuo, quella di perdere le persone dalle quali dipende la propria felicità, ma allo stesso tempo è anche il racconto del contrasto tra il destino e la volontà dell’essere umano.
Estate 1975. Una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia cui non sapeva di appartenere. All’improvviso perde tutto della sua vita precedente: una casa confortevole e l’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico, venendo così catapultata in un mondo estraneo. L’Arminuta (Sofia Fiore) è la protagonista della storia, una ragazzina di tredici anni della quale non sapremo mai il nome, ma solo il soprannome, l’Arminuta appunto, che nel dialetto abruzzese significa la “ritornata”.
L’Arminuta
Lei è colei che ritorna – senza alcuna spiegazione – ad una vita precedente, mai vissuta, mai conosciuta. Viene letteralmente restituita, resa come un pacco, alla famiglia biologica, che l’aveva affidata, quando aveva solo sei mesi, a dei cugini ricchi che non riuscivano ad avere figli, in modo che la crescessero e le garantissero una vita agiata e senza rinunce, quella vita che loro non sarebbero mai stati in grado di darle.
L’Arminuta si ritrova catapultata in un altro mondo: un paese dell’entroterra arcaico, totalmente opposto alla sua città e al suo amato mare. Lei – con i suoi capelli rossi, gli occhi verdi, la pelle color alabastro e l’istruzione e l’educazione di un altro mondo – è un’aliena rispetto a quella che scopre essere la sua famiglia. In quest’altra vita eredita ed acquisisce, infatti, una nuova madre (una straordinaria Vanessa Scalera) – una donna fortemente provata, dallo sguardo stanco e distratto – quattro fratelli e un padre duro e silenzioso (un meraviglioso Fabrizio Ferracane). L’Arminuta vorrebbe andarsene, ma non può.
Il dualismo
Il film si apre nel dualismo, tutto è fortemente polarizzato: la città e il paese, la modernità e l’arcaico, il mare e l’entroterra, la ricchezza e la povertà, l’italiano e il dialetto. In mezzo c’è lei, che è l’uno e l’altro insieme, ma allo stesso tempo non appartiene ad alcuno dei due mondi. L’Arminuta è proprio la conciliazione di questo dualismo, la ricerca delle posizioni intermedie che vi sono tra gli opposti, talmente inconciliabili ed estremi da non poter sopravvivere.
Lei è la la chiave di tutto, la speranza, la possibilità per unire i due mondi. Lo spettatore vive insieme alla protagonista il suo senso di disorientamento di smarrimento, la ricerca della verità. La ragazzina è ossessionata da domande che non trovano risposta: perché è stata restituita? Perché proprio lei è stata data via? Sullo schermo l’inconciliabilità è evidente a livello visivo. La distanza fra i personaggi è palpabile.
Non c’è dialogo, non c’è contatto fisico. Ci sono solo sguardi intensi, stanchi, occhi che esprimono tutto ma non verbalizzano. Gli occhi di Vanessa Scalera, che interpreta la madre biologica dell’Arminuta, parlano moltissimo, bucano lo schermo.
Il bisogno dell’altro
Tutti i personaggi sono accomunati dal bisogno dell’altro ma non riescono ad esprimerlo. Non a caso, come affermato dal regista Giuseppe Bonito, tutti i momenti più forti sono quelli in cui i personaggi si sfiorano, quelli in cui c’è contatto fisico. In quei rarissimi momenti i mondi entrano in contatto e il non detto irrompe nella scena.
L’Arminuta è un film emotivamente intenso che non sarebbe possibile senza i suoi straordinari interpreti: dalle piccole Sofia Fiore (l’Arminuta) e Carlotta De Leonardis (nei panni della sorella Adriana), passando per Vanessa Scalerae Fabrizio Ferracane (il padre) per finire con Elena Lietti (che interpreta Adalgisa, l’altra madre) e Andrea Fuorto (Il fratello Vincenzo).
Ognuno di loro riesce a dare anima e vita ai protagonisti che parlano senza parlare, solo con la loro fisicità e i loro sguardi. Una coproduzione Italo Svizzera, con Roberto Sbarigia per Maro Film, Maurizio e Manuel Tedesco per Baires Produzioni, Javier Krause per Kaf con Rai Cinema, realizzato con il sostegno di Lazio Cinema International – Regione Lazio e Mic.
É al cinema dal 21 ottobre, distribuito da Lucky Red.
Voto: 8.3