Recensione in anteprima – Terzo lungometraggio di Pierfrancesco Diliberto in arte Pif. Si tratta di un film molto diverso dai precedenti. Rimane la stessa attenzione all’attualità e alla società riprendendone ed estremizzandone i cambiamenti illogici, freddi e anaffettivi. Il film risulta però semplicistico ed estremamente moralista in molti punti vanificando l’idea iniziale di una società socialmente dispotica. Al cinema il 25, 26 e 27 ottobre.

Una storia distopica

In un futuro prossimo possibile, Arturo Giammarresi (Fabio De Luigi) ha creato un algoritmo per aiutare i dipendenti della sua società a lavorare meno e lavorare meglio, ma l’algoritmo gli si ritorce contro e decide che è superfluo, così l’azienda lo licenzia in tronco. Anche la ricca ed esigente fidanzata lo lascia perché un altro algoritmo ha deciso che il loro indice di affinità di coppia è negativo. Infine un ennesimo algoritmo lo esclude dalla possibilità di rientrare nella forza lavoro perché gli over 40 sono fuori mercato.

Ad Arturo non resta che diventare rider per la multinazionale Fuuber: farà consegne secondo un meccanismo di incentivazione che premia o penalizza chi non sta alle regole del gioco. La sua unica consolazione è Stella (Ilenia Pastorelli), l’ologramma che incarna (si fa per dire) tutte le sue preferenze, come se lo conoscesse da sempre. Peccato che, a prova gratuita terminata, Arturo non possa più permettersi la sua compagnia, e lei sparisca dal suo già limitato orizzonte.

Pif firma la sua terza regia con il suo nome e cognome di battesimo mentre risulta solo “Pif” tra gli attori. Per la prima non interpreta il protagonista e lascia il nome “Arturo Giammarresi” a Fabio De Luigi che è sempre stato il suo sia ne “La mafia uccide solo d’estate” sia in “In guerra per amore”

L’algoritmo delle risate amare

Nei suoi precedenti film Pif ha sempre utilizzato l’ironia per parlare di argomenti complessi come la mafia e la guerra ai tempi del fascismo. Come sottofondo che pian piano si erge ad argomento principale, la storia d’amore del protagonista. Con quella sua sferzante dialettica ha sempre creato curiosità e seguito nello spettatore.

In “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” questa ironia, quella calcolata ed efficace fotografia della situazione si perde. Tutta l’idea iniziale di un mondo distopico governato dalle app e dagli algoritmi viene ripetuta sempre uguale a sé stessa senza possibilità di svilupparsi. E’ un interminabile elenco di quanto è diventata brutta la società che guarda sempre al cellulare per sapere cosa fare, chi frequentare, quali amori continuare.

E’ un concetto estremizzato che viene sviluppato con una sceneggiatura a tratti banale, prevedibile e per nulla divertente o ironica. Si intuisce tutta la buona volontà di Pif di far emergere questo controllo da parte dei social e delle app sulla mente umana. Un pericolo che molti film hanno già trattato e che hanno anche declinato con la questione dei “likes” che possono permettere di fare o non fare certe azioni. Si pensi a “Black Mirror”, “The Orville” e, ancor prima a “Star Trek”.

La morale (attesa)

Per più di 100 minuti viviamo le disavventure di Arturo interpretato da un bravo Fabio De Luigi ma fortemente spaesato in un personaggio che non crea empatia con il pubblico a causa di una sceneggiatura molto confusa e poco brillante. Ilenia Pastorelli interpreta, forse, il personaggio meglio costruito nonostante degli scivoloni di dubbio gusto cinematografico. Il collegamento a “Her” o a un più nostrano “Io & Marilyn” non giova in nessuno dei due casi.

Di mondi distopici ne abbiamo visti molti e il film di Pif ne ricorda tanti senza scomodare i più conosciuti ma ricreandone vagamente le atmosfere con qualche scenografia pensata appositamente. In molti film di questo genere il collegamento alla realtà e l’estremizzazione di alcuni concetti è funzionale a una morale e una denuncia che non viene quasi mai esplicitata.

Senza rovinare il finale, la morale in “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” viene esplicitata in almeno due punti. Uno di chiara valenza politica, l’altro di chiaro collegamento sociale. In pratica però nessuno dei due riesce a coinvolgere l’interesse dello spettatore e il tutto risulta troppo esplicito, semplicistico e banale.

Voto: 5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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