Recensione in anteprima – Venezia 78 – In Concorso –  L’opera seconda di Gabriele Mainetti è una produzione imponente per la cinematografia nostrana. In concorso a Venezia arriva Freaks Out, un’avventura fiabesca costata quasi 13 milioni di euro. Al regista di Lo chiamavano Jeeg Robot è stato decisamente concesso di sognare in grande. Dal 28 ottobre al cinema.

Circo e guerra

Roma, 1943. Fulvio (Claudio Santamaria), Matilde (Aurora Giovinazzo), Cencio (Pietro Castellitto) e Mario (Giancarlo Martini) sono quattro freaks, fenomeni da baraccone, bizzarri scherzi della natura ai margini della società in piena Seconda guerra mondiale. Israel (Giorgio Tirabassi) è colui che ha dato loro la speranza di una vita quasi normale; li ha infatti aiutati nel momento peggiore della loro vita e li ha resi artisti, nel proprio circo improvvisato e artigianale. I cinque vivono nella povertà ma si bastano, hanno costruito una famiglia sulle macerie delle proprie vite.

Ma la guerra non è solo lo sfondo di questa vicenda, la guerra decide le sorti di chiunque, senza risparmiare Israel. Quando infatti egli viene catturato e deportato dai nazisti in quanto ebreo, il gruppo rischia di dividersi tra chi vuole liberarlo e chi invece vuole solo scappare in cerca di libertà e salvezza. Le peculiarità dei quattro sono stravaganti: Fulvio è un uomo-lupo, dotato di grande forza e di lungo e folto pelo su tutto il corpo, Matilde è una ragazza elettrica capace di accendere lampadine e custode di un grande potere inespresso, Cencio invece è il ragazzo degli insetti, che comanda infatti in ogni modo immaginabile (tranne le api, che odia) e infine Mario, affetto da nanismo, è un magnete umano.

Al momento dello scontro del gruppo con la guerra e la divisione che essa comporta, la meta di Fulvio, Cencio e Mario diventa il Zircus Berlin, un enorme spettacolo circense di stampo nazista situato a Roma che vede a capo Franz (Franz Rogowski), un nazista dotato di mani composte da sei dita ciascuna, scartato dall’esercito nel quale avrebbe voluto militare e relegato a suonare il pianoforte nel contesto circense. Il gruppo di antieroi nostrano si avvicina a Franz senza sapere che lo stesso sta andando a caccia di quei supereroi che nelle sue visioni dettate dall’etere condannano la Germania alla sconfitta.

Il nemico che appassiona

Il maggiore punto di forza del film sta nel suo antagonista. Franz è un antagonista stratificato, complesso e mai banale. Un freak dall’altra parte, un fratello minore scartato dal proprio paese. Fedelissimo del Reich, che non riesce a conquistare, delegato per sempre a fenomeno da circo. Egli non suona nemmeno come un vero artista nei teatri o negli auditorium, in quanto le dita in eccesso vengono viste prima come scherzo della natura che come dono.

Franz soffre una vita che non ritiene sua, si sente privato di una libertà che anela e cerca di conquistare ogni giorno. L’assuefazione all’etere deriva proprio da questo bisogno di fuga dalla realtà e gli fornisce una speranza. Egli, infatti, sfonda qualsiasi parete cinematografica in preda ai viaggi allucinogeni che tale droga gli procura: in preda alle visioni egli vede il futuro, dalla sconfitta della Germania e conseguente suicidio di Hitler, agli smartphone.

La visione dei quattro eroi che porteranno la vittoria agli alleati diventa la sua missione per riscattarsi agli occhi dei suoi compagni nazisti: dovrà essere lui a risollevare le sorti della propria patria in guerra. Il lavoro di Rogowski è eccezionale e rende onore ad uno dei migliori personaggi antagonisti scritti in Italia da molto tempo a questa parte. Un volto magnetico, da perfetto nazista, da cui traspare tutta la depressione, la solitudine e la rabbia di un ragazzo scartato e dalla parte sbagliata della storia.

Un salto produttivo per l’Italia

Il film è costato 12 milioni e 940 mila euro, come detto in apertura di articolo, e tale budget si percepisce durante la visione. Freaks out è un film da vedere in sala, perché vuole trasmettere sensazioni di magia e avventura come non siamo abituati nel nostro paese. Il secondo film di Mainetti non ha nulla da invidiare a molte produzioni statunitensi di grandi registi che questo genere di cinema lo hanno inventato.

Il coraggio di investire in un’opera del genere e di portarla in sala in un periodo come quello che stiamo vivendo merita di essere ripagato: ci auguriamo che infatti sia un successo al botteghino e aiuti la gente a distrarsi per due ore abbondanti, dimenticando la realtà con un film che siamo sicuri può trovare successo e riscontri anche all’estero, dato appunto il respiro internazionale che la produzione è riuscita a dargli.

Una musica imperfetta

Le note di merito sono molte, ma ce ne sono anche alcune di stonate. Questa è una recensione spoiler free e dunque non si entrerà nel merito del finale, che però possiamo scrivere lascia una sensazione di indecisione da parte degli autori. L’opera è assolutamente autoconclusiva e rispetta ogni canone di scrittura tradizionale, ma pecca in alcune scelte di forma.

Esso, infatti, sembra voler piacere a tutti, con scene da film di genere ma una struttura classica da fiaba. La vicenda si presta benissimo ad essere fruibile per un grande pubblico – anche di famiglie – nonostante qualche scena di guerra o parola di troppo, a cui comunque i ragazzi sono ormai abituati. Sono le scene da cinema di genere invece che generano il punto di domanda. Nel film sono presenti alcune scene sessualmente spinte o di violenza che cozzano con il possibile ampio target della vicenda. Queste scene sono coerenti con la vena dark e freak che il film sembra portare in dote, ma lo sviluppo classico e favoloso dell’opera può far storcere il naso.

Genesi di un prodotto coraggioso

Gabriele Mainetti, come in un moderno mago di Oz, dipinge un quartetto di personaggi costretti dalla crudeltà del mondo a sviluppare doti quali coraggio, empatia, furbizia, accettazione di sé. La fusione di parte del cinema neorealista del nostro paese con l’immaginario del supereroe tipicamente americano è chiaramente segno di coraggio e intraprendenza.

La genesi di tale prodotto è stata tutt’altro che facile, in quanto la post-produzione dello stesso ha necessitato di tempi lunghi a causa dei lavori sugli effetti speciali. Tempi che poi si sono ulteriormente allungati a causa del lockdown a cui ci ha costretti la pandemia da Covid-19, periodo durante il quale però Mainetti ha composto la musica per il film.

In conclusione, il regista ha mantenuto il proprio stile in questa sua seconda opera, ha preservato l’ambientazione romana e la propria idea di supereroe fuori dagli schemi. Freaks Out è un messaggio chiaro: non è impossibile fare questo cinema in Italia.

Voto: 7

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