Recensione – Netflix – Con un tempismo paradossale, durante il lockdown che ha ridimensionato le nostre giornate e ci ha costretti ad una ininterrotta convivenza familiare, Netflix rilascia il suo secondo lungometraggio animato che parla proprio di famiglia…e di come sbarazzarsene. Sulla piattaforma streaming dal 22 aprile
La storia
“Se adorate le storie sulle famiglie che fanno fronte comune e si amano nella buona e nella cattiva sorte, per cui arriva sempre il lieto fine…questo film non fa per voi, okay?”
I fratelli Willoughby vivono in un’antica e sontuosa villa nel centro di una città animata e moderna insieme a ai genitori, due tipi piuttosto stravaganti, così follemente innamorati l’uno dell’altra da non avere neanche un briciolo di affetto in serbo per i figli. L’avventura di Tim, Jane e i due gemelli che si chiamano entrambi Barnaby inizia con una misteriosa scatola abbandonata davanti al cancello di casa e prosegue con l’organizzazione di un viaggio per i genitori nei luoghi più pericolosi della terra, con la speranza che ci lascino le penne rendendo così i Willoughby finalmente orfani e liberi.
Tratto dal romanzo della scrittrice statunitense Lois Lowry, che da noi si chiama La famiglia Sappington per consentire i giochi di parole, La famiglia Willoughby è scritto e diretto da Kris Pearn (Piovono Polpette 2 – La rivincita degli avanzi) e si aggiunge al novero dei film di animazione targati Netflix.
Qualche illustre ispirazione
Prendete la brillantezza e la resilienza dei fratelli Baudelaire di Una Serie di Sfortunati Eventi, lo stile eccentrico e teatrale della famiglia Addams e le infelici sorti di Hansel e Gretel e immaginatevi i protagonisti con una chioma di capelli di lana fucsia: ecco, i Willoughby sono più o meno così.
“Se hai bisogno d’amore sei pregato di trovarlo altrove , grazie”
Nel corso della loro storia (raccontata da un grosso gatto soriano blu) i protagonisti imparano a conoscere le varie facce dell’amore: quello romantico e passionale che non conosce ostacolo e che lega Madre e Padre; quello fraterno che fa sentire a Tim, il maggiore, la responsabilità di dare ai suoi fratelli una vita migliore; quello tra amici pronti ad accogliere e ad aiutare senza volere nulla in cambio e quello che si costruisce insieme a poco a poco, in una famiglia non convenzionale.
Il dramma dell’essere soli e trascurati impartisce loro un prezioso insegnamento: le radici e le tradizioni sono importanti perché ci dicono chi siamo, ma noi possiamo cambiarle, rinnovarle senza necessariamente cancellarle o dimenticarle.
L’intreccio è stravagante e imprevedibile, ma inizialmente resta comunque la possibilità di empatizzare e immedesimarsi nei personaggi o nelle situazioni. Cosa che comincia a venir meno a partire dalla seconda metà del film, quando la faccenda si fa un po’ troppo strana, il ritmo accelera improvvisamente e conduce ad un finale forse piuttosto frettoloso.
Animazione e colore
Come già visto in Klaus, sembra che Netflix stia puntando molto su un tipo di animazione con stili grafici che invocano la vecchia scuola, piuttosto che accodarsi agli standard attuali, in questo caso si tratta di uno stop motion digitale. La storia è raccontata attraverso un abile uso dei colori che differenziano gli scenari: dai toni caldi del rosa e del rosso all’interno della casa, al freddo grigio della città e dell’orfanotrofio fino ad esplodere con tutta la tavolozza nella fabbrica di caramelle, che non a caso si trova alla fine dell’arcobaleno.
Nel cast originale le voci sono di Will Forte , Alessia Cara , Maya Rudolph, Terry Crew , Jane Krakowski e Martin Short , mentre va menzionato a parte il grosso gatto blu che racconta la storia con il piglio malizioso di Ricky Gervais.
il film è disponibile dal 22 aprile su Netflix.
Voto: 6,5