Recensione in anteprima – Il nuovo film diretto da Sam Mendes porta al cinema una vicenda molto semplice della prima guerra mondiale ma di vitale importanza per l’esercito britannico in terra francese. La messa in scena è particolare ed elaborata raccontandoci la vicenda come se stessimo assistendo a un unico piano sequenza di due ore. Al cinema dal 23 gennaio.

La storia

6 aprile, 1917. Blake (Dean-Charles Chapman) e Schofield (George MacKay), giovani caporali britannici, ricevono un ordine di missione suicida: dovranno attraversare le linee nemiche e consegnare un messaggio cruciale che potrebbe salvare la vita di 1600 uomini sul punto di attaccare l’esercito tedesco. Per Blake l’ordine da trasmettere assume un carattere personale perché suo fratello fa parte di quei 1600 soldati che devono lanciare l’offensiva. Il loro sentiero della gloria si avventura su un terreno accidentato, no man’s land, trincee vuote, fattorie disabitate, città sventrate, per impedire una battaglia.

La trama è molto semplice e la sceneggiatura che viene costruita sopra è basata semplicemente su ordini e sui dialoghi dei due personaggi principali. Spesso sono i silenzi e le pallottole, oltre alle esplosioni in lontananza la vera sceneggiatura di questo film.

“1917” è un film di guerra che racconta la storia di un salvataggio di diversi uomini attraverso una corsa contro il tempo. Un esercizio non da poco che poteva rischiare di diventare uno dei tanti film di guerra. Sam Mendes che ha già rivitalizzato la saga di “007” da forza e interesse anche a una vicenda marginale ma essenziale.

Come se non fosse una guerra di trincea

Una delle particolarità fondamentali della prima guerra mondiale, una di quelle che si studia a scuola, è data dal fatto di essere una guerra di posizione, di trincea soprattutto dopo un breve periodo iniziale.

Il 1917 della vicenda, indicato anche nel titolo è un anno di staticità tra gli eserciti al fronte con trincee ormai consolidate e confini poco mobili. Rendere dinamicità a un film in un contesto del genere non era facile. L’espediente del messaggio da recapitare offre a Sam Mendes la possibilità di trasformare una guerra di posizione in un road movie tra un fronte e l’altro della trincea con un percorso ben definito ma ricco di incognite e imprevisti.

Il (finto) piano sequenza dal primo all’ultimo secondo del film contribuisce a completare questa dinamicità avvicinando l’atmosfera della prima guerra mondiale a quella, forse più conosciuta, della seconda totalmente diversa nello svolgimento. E’ facile poi, accostare “1917” a “Salvate il soldato Ryan” almeno nello scopo secondario della missione.

Un (unico) piano sequenza

La ricostruzione storica, i paesaggi, i costumi, le divise, gli ambienti militari, le trincee, tutta la scenografia è impeccabile. In “1917” si nota tutto il lavoro certosino di tutti gli operatori del mestiere non solo il lavoro di montatore e regista.

La recitazione è misurata e calibrata per quella che rimane pur sempre una vicenda semplice ma dal forte impatto emotivo e con una carica d’ansia percepibile. Nelle due ore di svolgimento dell’intera avventura il pubblico si sente coinvolto attraverso una singolare immersione.

“1917”, infatti, è costruito come se fosse un solo unico piano sequenza. Ovviamente è solo un’illusione ben congegnata attraverso abili stacchi di ripresa, ellissi e un pizzico di montaggio digitale. La macchina da presa segue perennemente i due protagonisti attraverso tutto il viaggio immergendo lo spettatore nella vicenda come se lo spettatore stesso fosse un terzo soldato aggiunto alla spedizione: ora dietro, ora di fianco, ora a precedere i due.

George MacKay as Schofield in “1917,” the new epic from Oscar®-winning filmmaker Sam Mendes.

La scena come un dipinto nel buio

La videocamera alcune volte segue la scena a piedi, altre volte viene montata su moto, altre ancora passa su una gru installata su un camioncino, ed infine anche agganciata a un drone. Una splendida regia, una superba messa in scena che riduce una vicenda reale di circa 24 ore in 2 ore di film facendolo sembrare un tempo continuo come se fosse un unico piano sequenza emozionante e affascinante.

Se “Dunkirk” divideva il film in tre diversi piani temporali che viaggiavano con diversi ritmi, qui il film di Sam Mendes utilizza un tempo estremamente lineare e monotono. La corsa contro il tempo è molto più fisica incontrollata e improvvisata e offre lo spunto per creare diverse scene molto interessanti.

Una su tutte riguarda la scena in notturna, nell’unica notte affrontata Schofield in solitaria. Le rovine, immerse sotto un cielo nero quasi inverosimile, si illuminano con le esplosioni dal fronte nemico. Quegli sguardi che chiariscono improvvisamente la scena sono come un dipinto nel buio, una fotografia memorabile di solitudine e inquietudine che nemmeno la notte più buia riesce a celare e proteggere.

Voto: 8,8

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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