Recensione  – Roma 14 – Seconda opera della regista cinese naturalizzata statunitense Lulu Wang. Il film prende spunto da un suo racconto breve del 2016 (“What don’t you know”) e vede Lulu Wang come sceneggiatrice di un’opera che affonda le radici in alcuni fatti della sua vita in America e nel rapporto con i parenti (e la malattia della nonna) in Cina. Al cinema dal 24 dicembre.

Storia di famiglia

Billi Wang (Awkwafina) è nata a Pechino ma vive a New York da quando aveva sei anni. Il suo contatto sentimentale con la Cina è Nai Nai (Zhao Shuzhen), la sua vecchia nonna, ancorata alle tradizioni e alla famiglia. Salda e praticamente indistruttibile, a Nai Nai viene diagnosticato un cancro. La famiglia decide di nasconderle la verità e di trascorrere con lei gli ultimi mesi che le restano da vivere.

Figli e nipoti, traslocati negli anni in America e in Giappone, rientrano in Cina per riabbracciarla e per ‘improvvisare’ un matrimonio che allontani qualsiasi sospetto. Risoluti e uniti nella bugia, trovano in Billi una resistenza. Inconcludente nella vita e insoddisfatta della vita, Billi vorrebbe liberarsi dell’angoscia e rivelare alla nonna la prognosi infausta. Tra oriente e occidente, troverà una sintesi tra due culture e due condotte etiche.

Nai Nai è la sintesi di molte famiglie che si sono allontanate, che si ritrovano e che faticosamente dialogano tra le diverse tradizioni, abitudini e stili di vita. La regista, che conosce bene i due mondi e ha incontrato spesso emigranti cinesi in America, descrive perfettamente questo incontro tra famiglie e la loro voglia di circondare di affetto quell’unico fulcro ormai rimasto che li identifica e li tiene uniti.

Un insieme più grande

“Farewell” è anche uno sguardo alla Cina che si affaccia prepotentemente nel presente e si proietta nel futuro. Nei vari trasferimenti, a piedi o più spesso in auto, le inquadrature spaziano verso le costruzioni di palazzi, sempre più alti, sempre più moderni contornati da ampie zone dedicate a parchi e a svaghi tipicamente occidentali.

E’ la Cina che Billi Wang riconosce come più vicina alla sua America dove fatica a integrarsi a livello lavorativo e una Cina diversa da quella che aveva lasciata. Il contrasto è disorientante e sottolinea ancor di più, anche nei parenti provenienti dal Giappone, che l’unico legame nella storia e nella tradizione è la nonna, quindi son le persone e gli affetti.

La dolcezza (in)aspettata

Mentre la vita di Billi è provata da difficoltà e la vita di Nai Nai è provata dalla malattia, la dolcezza che pervade il film non è una dolcezza stucchevole o di circostanza. Non è mai sbandierata se non nei sorrisi verso Nai Nai.

E’ il collante leggero ma profondo che cementa pian piano un nuovo tipo di rapporto famigliare recuperato o, almeno, ricercato. Per quanto la vicenda assurge, a volte, a situazioni paradossali, non si può non essere solidali nell’empatia che questa famiglia provoca nello spettatore.

Mentire non è mai stato così salutare e doveroso anche se molti la penseranno in maniera diversa e chi non sta bene, probabilmente sa già da sé la gravità delle sue condizioni. “Farewell” è quel percorso di crescita negli affetti che, forse nessuno della famiglia aveva ancora fatto ed è lì la menzogna più grande che, invece tutti si ostinavano a raccontare.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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