Recensione – I fratelli Coen tornano in sala con “Ave, Cesare!”, film nuovamente difficilmente ascrivibile a un preciso genere e sconfinante in diversi registri. Un film che diverte e fa pensare, che gioca con lo spettatore ma che non sempre lo coinvolge.

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Mentre sull’atollo di Bikini gli Stati Uniti sono impegnati con gli esperimenti sulla bomba H, a Hollywood Eddie Mannix si deve occupare di trovare una soluzione ad un altro tipo di problemi. Eddie è un fixer, cioè colui che deve tenere lontani dagli scandali in cui si vanno a ficcare le star che stanno lavorando ai film di un grande Studio. Deve quindi far sparire foto osé e cercare di camuffare gravidanze fuori dal matrimonio. Quando poi accade che scompaia il protagonista di un film su Gesù, nei panni di un centurione romano, la situazione si complica. Anche perché costui è stato rapito da un gruppo di ferventi comunisti.

Amati, odiati, venerati o incompresi, i fratelli Coen hanno sempre trovato una vasta gamma di critici, appassionati e spettatori pronti di volta in volta a valutare il loro film di turno come un capolavoro o come un’opera che può anche essere dimenticata. Nel mezzo dei risultati estremi c’è tutta una gamma di grigi dove l’estro dei due fratelli ha sempre colpito nel segno con, tranne rari casi, grandi successi di pubblico e critica.

Questo “Ave, Cesare!” si inserisce perfettamente nella più che trentennale produzione dei due registi ed è, a detta di chi scrive, un buon film. Sicuramente non può essere annoverato tra i film capolavoro o cult come “Il grande Lebowski”, “Fargo” o “Non è un paese per vecchi”, giusto per citare i primi venuti in mente ma si difende egregiamente riconfermando uno standard artistico sopra la media.

Ave-Cesare_4Esperti nel padroneggiare diversi generi cinematografici in modo trasversale e verticale partecipando anche alla stesura della sceneggiatura e al montaggio, i Coen giocano con lo spettatore nel mescolare thriller, spy story, dramma ma è poi la commedia quella che prende il sopravvento e delinea le situazioni. Una commedia che mette in campo il grande gioco dello star system negli anni 50 in una Los Angeles impregnata di divismo da controllare, che non crei scandalo e che faccia apparire al pubblico la diva o il divo di turno come esempi e modelli quasi immacolati.

E’ il lavoro di Eddie Mannix (Josh Brolin) che fa da architrave minimo dell’intera vicenda e il suo proteggere le produzioni da scandali religiosi o personali delle star è una continua rincorsa a situazioni che, potenzialmente possono esplodere in mano. Lo sa bene Mannix e il suo continuo camminare velocemente, il suo continuo guardare l’orologio, il suo continuo entrare e uscire dalle telefonate e dai set è ricreato in maniera magistrale da un Josh Brolin in gran forma e perfettamente in parte.

Ave_cesare_top3Coprire e prevenire gli eventuali scandali delle star è ironicamente l’opposto di quanto succede nella Hollywood di questi ultimi anni, e l’ironia che ci sta sotto non è nemmeno tanto velata. Ad un periodo, gli anni ’50, dove gli scandali erano addirittura da prevenire e, al limite insabbiare e aggiustare, si passa in questi anni agli scandali creati ad arte, grazie anche ai nuovi strumenti di comunicazione. Negli oltre 60 anni che vi son nel mezzo, una serie di situazioni intermedie come per esempio quella fotografata da “Notting Hill” a fine anni ’90.

Personalmente avrei preferito si approfondisse maggiormente la vicenda che riguarda DeeAnna Moran (Scarlett Johanson) mentre è specchio della recitazione che si mescola al reale la parte di Baird Whitlock, un controllato e allo stesso tempo divertito George Clooney che è dapprima spaesato ma diventa poi pedina anche nel mondo reale come fosse ancora sul set (non lo vediamo mai in abiti diversi da quelli di scena, un velato riferimento a chi è divo, e finge, anche nel mondo reale).

ave-cesare_5C’è poi quella gradita sorpresa di nome Channing Tatum che interpreta Burt Gurney, vestito da marinaio e ballerino in un musical.  L’attore si mette a cantare e ballare e ad essere a suo agio nei panni di quel personaggio. Altra sorte è destinata a Hobie Doyle, nella finzione attore di film wester e interpretato da Alden Ehrenreich. Delle belle scene dove l’attore (vero) interpreta un attore (nella finzione del film) che proviene dalle terre del west, tutto abituato a cavalcate, indiani, lazii e spaesato nel nuovo mondo tutto glamour della Hollywood piena di luci, così volubile ai voleri del regista (Ralph Fiennes) ma che non sa come tramutarli in maniera concreta nella scena.

Una regia curata, che fa respirare la storia e che introduce diversi elementi di riflessione: il quadro sopra la postazione di Mennix, una foto dall’alto degli sterminati studi di quella Hollywood anni ’50 prospera di reale e non di digitale (oggi probabilmente molti teatri di posa raffigurati nel quadro sono sostituiti dalle magie del computer) che non è solo una citazione del passato ma una sorta di denuncia ironica del presente. Uno sguardo al passato privo però di nostalgia melensa in cui era facile cadere.

ave-cesare_6Altri spunti di riflessione quando appare Tilda Swinton nel doppio ruolo di due sorelle gemelle o quando, nella scena per me più divertente, quando si parla del film su Gesù con al tavolo tutte le massime autorità religiose del luogo (segnaliamo un ottimo Robert Picardo, già dottore olografico in Star Trek Primo Contatto e Star Trek Voyager che qui appare come rabbino).

Un film da vedere, divertente e che fa pensare, un film in fin dei conti “alla Coen” anche se un po’ distante dal pubblico e certamente un po’ meno riuscito di altre opere dei due grandi registi.

Voto: 7,2 

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Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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