David Fincher ci regala un film per certi versi strano, originale, diverso, spietato, un vero grido di disturbo delle relazioni affettive. Amy scompare, il marito Nik ha un atteggiamento strano per un evento del genere. Cosa nasconderà quello stato d’animo?
Amy e Nick sono sposati da 5 anni e vivono nel Missouri, dove si sono trasferiti per stare vicini alla mamma di Nick, affetta da un tumore. In apparenza sono la coppia perfetta, belli, affiatati, condividono la passione per la scrittura e una bella casa, e hanno affrontato assieme le difficoltà economiche causate dalla recessione del 2009. Il giorno del quinto anniversario, però, Amy scompare nel nulla, lasciando la casa a soqquadro e tracce di sangue che, ben presto, portano Nick ad essere indagato per il suo omicidio. Tutti gli indizi sembrano portare a lui, perlomeno agli occhi della detective e della gogna mediatica che vede Nick con antipatia e riconosce in lui il ritratto del serial killer perfetto: per coprire la sua infedeltà coniugale e sbarazzarsi della moglie che si scopre essere incinta al momento della scomparsa, Nick l’avrebbe uccisa, forse con la complicità della sorella gemella Margot con cui condivide la gestione di un bar. Ma qualcosa non torna in questo omicidio apparentemente perfetto, e sarà la stessa Amy a svelare, un pezzo alla volta, tutti i tasselli del suo diabolico piano, studiato con freddezza. (wiki)
Il film prende spunto dal bestseller di Gillian Flynn, qui anche sceneggiatrice. Il lavoro fatto nel ridurre a film un libro con una struttura narrativa complessa e frammentata è stato egregio anche grazie proprio alla presenza della scrittrice tra gli addetti ai lavori. Fincher, che ci ha abituato a thriller che scavano a fondo nell’animo dei protagonisti e affondano lo spettatore in sensazioni che lo rendono partecipe delle vicende offre tutta la sua maestria nel gestire e ricostruire gli eventi.
Il risultato che ne scaturisce è un film che non lascia mai il tempo allo spettatore di prendere fiato, di ragionare troppo, di perdersi nella narrazione. Fin da subito abbiamo il punto di vista del marito Nick che apre e chiude l’intero film ma è poi con Amy che capiamo molto delle vicende successe, è lei che da il ritmo a tutto il film nella sua scomparsa, nel suo racconto con i flashback opportuni, nei suoi ritorni, nei suoi atteggiamenti di vittima, carnefice, innocente e colpevole.
Se dovessi sintetizzare l’intero film direi che il film non esiste, proprio così, sembra un’affermazione riduttiva e soprattutto che getta cattiva luce su un film che invece non è il capolavoro di Fincher ma che risulta un perfetto intrattenimento ricco di denunce esplicite al mondo dei mass media e altre denunce più o meno velate e abbozzate a diversi altri temi quali lo stalking e la violenza psichica nel matrimonio, all’interno delle mura domestiche. Nella ricerca maniacale dei dettagli e della perfezione di Fincher non è un caso che il bar di Nick si chiami “il bar” e che più volte venga messo in evidenza, come a sottolineare che l’unica cosa che ha il nome corrispondente a quello che è realmente è appunto il bar, tutto il resto anche se nominato in un certo modo può non essere la realtà.
Abbiamo infatti che il matrimonio tra Amy e Nick perde il suo significato, che la parola moglie diventa vittima, che la parola marito si trasformi in assassino, che la parola tradimento si insinui nei più diversi significati. Tutto nel film è ribaltato, messo in discussione per poi depistare o spiegare come realmente son successe le vicende. La stessa Amy ha una sua alter ego nel suo libro, quella “fantastica Amy” protagonista dei romanzi da lei scritti e beniamina di molti lettori, una sorta di sè stessa che fa tutto ciò che non può fare realmente. Tutto questo governato da una mano molto più potente e sempre più invadente nelle nostre vite: la lunga mano dello spettacolo che si accanisce e sputa sentenze, che da un selfie inopportuno ma innocente crea tutta una serie di fantasiose conclusioni solo per aumentare gli spettatori di un programma tv, per creare sempre dell’interesse nella popolazione e vendere il prodotto, vendere il mostro.
Questa denuncia al mondo dei mass media che creano la loro realtà dei fatti solo e unicamente a fini di business incuranti della verità e delle persone coinvolte è chiara, lampante e sviluppata molto bene ed è credibile anche il cambio repentino di opinione quanto le cose cambiano, anche se sarà solo un’altra realtà dei fatti preconfezionata, lontana anch’essa dalla verità.
Buon ritmo, scene perfette, una Rosamund Pike (Amy) giustamente in lizza per l’Oscar per la sua straordinaria interpretazione, un Ben Affleck che temiamo essere diventato più bravo nel dirigere che nel recitare. Benché il film presenti tutti questi lati positivi, ve n’è uno un po’ raffazzonato e liquidato in poche scene. Per non rovinare ai lettori di questa recensione la visione del film ci limiteremo a dire che forse la seconda parte del film poteva essere sviluppata meglio perché si ha uno strano senso di “accelerazione” degli eventi da tre quarti del film in poi.
Pur non essendo un capolavoro di Fincher, il regista non ha deluso le aspettative.
Voto: 8