Recensione – Torna nelle sale la saga di “Hunger Games” attraverso un Prequel che è anche uno spin-off. Alla regia torna Francis Lawrence già regista degli ultimi tre capitoli dedicati al fortunato franchise. Anche questo film è la trasposizione del romanzo omonimo di Suzanne Collins. Le origini di Snow vengono rivelate attraverso un film diviso in tre distinte parti. Al cinema dal 15 novembre.

La storia

Coriolanus Snow (Tom Blyth) ha diciotto anni e la sua casata è caduta in disgrazia nel dopoguerra di Capitol City. Alla decima edizione degli Hunger Games, ideati dal Decano Casca Highbottom (Peter Dincklage), viene nominato mentore, ovvero tutor, di una ragazza del Distretto 12, Lucy Grey Baird (Rachel Zegler). Questo potrebbe compromettere tutto il suo piano di riscatto sociale ed economico, così Snow si attiva per aiutare  la ragazza in ogni modo possibile. C’è in ballo la sopravvivenza, gli Hunger Games sono spietati e tutta l’avventura è una corsa contro il tempo e contro la morte, tra serpenti letali e un usignolo capace di incantare con la sua voce.

Diviso in tre parti ben distinte: il mentore, il premio, il pacificatore il film fatica a innovare l’idea che nel 2012 era stata portata al cinema. Aggiunge solo delle informazioni in più e, spesso ben integrate, al villain Snow. La sua gioventù viene così presentata e il suo legame con i giochi viene fondato ed espresso. Manca forse quella critica sociale che, invece, era ben evidenziata ed evidente soprattutto nel primo film della saga e nel meccanismo del gioco.

Un gioco più violento ma senza ferire

Rispetto ai precedenti capitoli il sangue aumenta e la violenza pure. Una direzione che fa a pugni con il pubblico di riferimento ma che si consolida tra adolescenti e giovani mescolando tinte horror e splatter che, a dire il vero, erano anche accennate nei precedenti film. Il gioco, presente soprattutto nella seconda parte è solo uno degli elementi narrativi del film. Chiaramente è stato già sviluppato e l’obiettivo di questo “La ballata dell’usignolo e del serpente” è appunto presentarci l’usignolo e il serpente. Come questi animali simbolo di altri personaggi si incontrano e si scontrano.

E’ un gioco violento che non ferisce le aspettative ma che in realtà non le conferma del tutto. L’andamento del film, la sua sceneggiatura, i personaggi creano vicinanza con il pubblico che ne segue le vicissitudini e parteggia per il personaggio principale. Un ottimo espediente per la fidelizzazione della saga ma che rende un po’ poco originale la trama.

Se l’usignolo incanta, il serpente non morde. La critica sociale riguardo allo sfruttamento della gioventù da parte dei media (e non) degli adulti è in sottofondo preferendo la dinamica del gioco di inganni e controinganni, astuzie e colpi bassi. Nemmeno l’esplicita tv, con la sua diretta viene sfruttata appieno.

Gioco di stili

“Hunger games, la ballata dell’usignolo e del serpente” mescola, nelle tre parti diversi generi cinematografici e il passaggio tra questi diversi registri non è sempre indolore, anzi spesso, il passaggio risulta brusco e spiazzante.

A nulla vale il cartello che indica agli spettatori il campo di capitolo. Il cambio di genere cinematografico viene così giustificato nell’immediato ma non è mantenuto nella singola parte. Già all’interno si mescolano quindi horror, sentimentale, azione, thriller, spy story con l’idea di avere un target adolescenziale.

La regia predilige, sovente inquadrature dal basso. Un’ottima scelta per indicare allo spettatore la soggezione e soprattutto l’ansia del gioco e del pericolo imminente ma altre volte è controproducente soprattutto per situazioni in cui quel pericolo non si manifesta ed è lontano.

L’ultima parte sembra altresì affrettata e sfuggevole proprio come gli eventi che si narrano. Un cambio anche di umori, di sentimenti e di caratteristiche di Lucy Grey Baird e, in parte di Coriolanus Snow che spiazza lo spettatore e che avrebbe dovuto avere un maggiore spazio per svilupparsi.

Un film che piacerà ai fedeli della saga, che, tendenzialmente potrebbe anche essere visto come film a sé stante ma solo con la visione degli altri capitoli risulta pienamente efficace.

“Sono le cose che più amiamo che hanno il potere di ferirci di più”

Voto: 6,4

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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