Recensione – Venezia 79 – Orizzonti –  L’esordio al cinema di Elodie è un intenso mafia movie ambientato nel Gargano, un’epica storia di violenza e amore basata sull’omonimo romanzo d’inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Al cinema dal 22 settembre

La trama

Puglia. Arso dal sole e dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea (Francesco Patané), riluttante erede dei Malatesta, e Marilena (Elodie), bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.

Un’ambientazione affascinante  

Al suo terzo lungometraggio, Pippo Mezzapesa traspone l’omonimo romanzo inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini e realizza un mafia movie classico nei suoi sviluppi, ma originale nell’ambientazione: a differenza della maggior parte dei film di questo genere, che si svolgono in Sicilia, Campania o Calabria, Mezzapesa, da buon pugliese, ambienta la sua storia nel Gargano, una terra di struggente bellezza, devastata però dalla violenza delle faide malavitose.

Il racconto si svolge nel 2004, ma quelli rappresentati sembrano luoghi senza tempo – sensazione amplificata dalla scelta del bianco e nero -, ancora governati da regole ancestrali, impermeabili al progresso e all’evolversi dei tempi. In uno scenario del genere, anche l’amore sembra fonte di morte: la passione tra Andrea e Marilena, appartenenti a due famiglie rivali, causa infatti il riaccendersi della guerra tra le due bande. Ma l’amore è anche quello che prova Marilena per i suoi figli, un amore che le darà la forza di sottrarsi alle logiche distruttive del mondo a cui appartiene.

Il personaggio di Marilena segna l’esordio sul grande schermo di Elodie: al netto di qualche inquadratura troppo costruita per esaltarne la bellezza nella parte iniziale dell’opera – una fase che però corrisponde a quella in cui Andrea si innamora di lei, quindi dal punto di vista drammaturgico sono scelte tutto sommato coerenti -, è apprezzabile che la cantante si sia prestata a interpretare efficacemente un personaggio molto lontano da quella che è la sua figura pubblica (a differenza per esempio di quel che aveva fatto Lady Gaga al suo esordio in “A star is born”) e che, per quanto fondamentale all’interno della narrazione, non è tuttavia protagonista assoluto.

Una classica, avvincente storia di mafia 

Quella di “Ti mangio il cuore” è una storia molto classica: abbiamo due bande rivali che si contendono il controllo di un paese, un amore proibito, una faida, tradimenti, omicidi. Anche l’arco narrativo del protagonista Andrea, che da riluttante e timoroso rampollo del clan si ritrova a dover prendere le redini della propria famiglia, scoprendo il proprio lato più oscuro, ricorda da vicino quello di personaggi memorabili come Michael Corleone de “Il padrino” o Genny Savastano di “Gomorra“.

Tuttavia la messa in scena di Mezzapesa riscatta la scarsa originalità della vicenda: “Ti mangio il cuore” ha infatti il respiro di una grande saga western, di una tragedia greca; i personaggi sono maestosi nel loro essere archetipici (si pensi soprattutto alla figura di Teresa Malatesta, la spietata mater familias splendidamente interpretata da Lidia Vitale) e ogni sequenza è girata con l’intensità di una scena madre. La successione degli accadimenti ha un andamento inesorabile e ci sono pure un paio di colpi di scena che scombinano le carte sul finale; finale che, tra l’altro, chiude alla perfezione il cerchio, lanciando un messaggio forte.

Notevole è anche l’uso simbolico degli animali: i Malatesta e i Camporeale sono infatti gente di campagna e così capre, maiali e mucche sono figure ricorrenti nella storia, perfettamente integrate nel racconto: si compie una dichiarazione di guerra spedendo una mandria nel cimitero dove i propri rivali piangono un loro defunto, si usa un maiale per tendere una trappola, si allude al decadimento di un clan mostrando gli animali che si nutrono alla loro tavola.

Seguendo il modello di maestri assoluti come Sergio Leone e Francis Ford Coppola, Mezzapesa riesce insomma a raccontare una storia classica e archetipica in maniera avvincente, sfruttando appieno le potenzialità dell’ambientazione pugliese.

Voto: 7,5

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