Recensione – “The Lodge” appartiene a quella schiera di film thriller/horror che soddisfa gran parte del pubblico soprattutto quello a cui piace questo genere di film. L’azione si svolge quasi interamente in uno chalet di montagna isolatissimo. Al cinema dal 16 gennaio.
La trama
La prima proiezione stampa del 2020, per quanto mi riguarda, mi porta nell’insidioso territorio del genere thriller/horror, che tante soddisfazioni ha regalato nel 2019 (Midsommar, Us, Crawl), ma nello stesso tempo è stato foriero di altrettanto numerose delusioni.
Premettendo sin da subito che The Lodge appartiene alla prima schiera di film sopra citata, ve ne esponiamo brevemente, a grandi linee e senza alcun tipo di spoiler la trama. L’azione si svolge quasi interamente all’interno di uno chalet di montagna isolatissimo dove Richard (Richard Armitage), la sua nuova compagna Grace (Riley Cough) e i figli avuti con la ex moglie Laura (Alicia SIlverstone), Aiden (Jaeden Martell) e Mia (Lia McHugh), si apprestano a passare il Natale.
A causa di un impegno di lavoro Richard è obbligato a tornare in città e ad affidare i figli a Grace, pur sapendo che questi non hanno mai accettato la nuova figura materna, considerandola una psicopatica per via del fatto che Grace, da ragazzina, fece parte di una setta i cui membri morirono tutti e lei fu l’unica a sopravvivere per volere del Santone, affinché ne diffondesse il verbo.
Punti di forza
Tecnicamente The Lodge trova i suoi punti di forza nella regia e, soprattutto, nella sceneggiatura. Sebbene il genere abbondi di film ambientati in case isolate, in mezzo alla neve (uno su tutti, Shining), questo brilla per la sua originalità, fornendo allo spettatore la giusta dose di inquietudine, non abusando di Jump Scares (se ne contano solo due, entrambi funzionali alla narrazione) e regalando un finale molto ben gestito oltre che sorprendente.
Si scorgono qua e là riferimenti al cinema di Ari Aster (Hereditary e Midsommar), Shyamalan (Il sesto senso, The Village e The Visit) e, immancabilmente a quello di Kubrick (il già citato Shining, non solo per le ambientazioni, ma anche per lo stile di regia). Franz e Fiala, che già con Goodnight Mommy avevano deliziato intere schiere di horrorofili, sono stati bravi a giocare con lo spettatore senza indurlo in confusione e incastrando quasi alla perfezione ogni dettaglio sia per quanto riguarda la trama che la messa in scena, rendendo così la loro nuova opera molto solida dal punto di vista della sceneggiatura.
Le inquadrature
Ogni inquadratura sembra architettata per dare l’idea che l’azione si sti svolgendo all’interno di loculi o bare, grazie anche alle frequentissime carrellate all’indietro che donano profondità agli ambienti, ma nello stesso tempo provocano in chi guarda una forte sensazione di claustrofobia.
Andando a cercare il pelo nell’uovo, forse la parte centrale risulta un po’ troppo diluita, ma non saranno certo quei quindici minuti di pellicola in eccesso a rovinare un’opera che già ora possiamo inserire nelle prime posizioni delle top ten horror di fine anno.
Voto: 8