Recensione – Netflix – Dal 5 aprile, a quasi due anni dalla sua produzione, approda sulla piattaforma Netflix il debutto alla regia di Brie Larson, splendida interprete di “Captain Marvel” qui alle prese con problemi molto più terreni. Il difficile rapporto con la vita nel passaggio all’età adulta con sullo sfondo fallimenti, sogni infranti e scontri con la triste realtà.

Kit (Brie Larson) è una giovane donna che è stata costretta a tornare a vivere coi genitori a causa di numerosi problemi, non solo economici. Un giorno riceve un misterioso invito al negozio Unicorn Store. Da quel momento in poi la sua vita non sarà la stessa.

“Kit di sopravvivenza” per diventare grandi

“Unicorn Store” è un film acquisito da Netflix già da due anni e distribuito proprio in questi giorni di aprile del 2019 sulla scia del successo mondiale di “Captain Marvel”. Nel film della corazzata Disney-Marvel Brie Larson interpreta proprio l’eroina che da il titolo al film. In “Unicorn Store” oltre alla protagonista, Brie Larson è la regista.

La genesi, 5 anni fa, ha visto l’attrice candidarsi proprio per il ruolo principale ma fallire l’audizione, tre anni fa è stata però chiamata a impegnarsi nel suo debutto alla regia.

Oltre alla regia, Brie Larson è Kit, la protagonista. Emblematico quindi il nome della ragazza, e tutto il film sembra una gigantesca scatola dove si trova quel kit di strumenti necessario per passare dalla vita adolescenziale alla vita adulta.

In realtà la Kit ragazza sembra un po’ in là negli anni rispetto a quella adolescenza, è già una giovane adulta. Ingenua forse, solitaria quanto basta e delusa dalla vita. Nella prima scena la vediamo rifiutata dal suo sogno di creativa, e i colori della sua vita se ne vanno con quel rifiuto. La scena successiva infatti vede Kit distesa sul divano a vedere la tv come una ragazza senza ambizioni.

Gli alibi di una vita moderna

Ben più sottili e non sempre riusciti sono i riferimenti agli alibi di una vita moderna che crea eterni adolescenti e giovani adulti senza ambizioni o, peggio, con una sbagliata relazione con la realtà.

Abbarbicati nelle proprie convinzioni, basta una sconfitta per creare negli altri le cause dei propri fallimenti. Asserragliata nella propria vita illusoria e colorata Kit fa solo finta di ingrigirsi come gli altri e, forse, questo la salva.

Ma il cambio di passo della propria vita, non è convinto, come non è convinta la regia a supporto di un film che fa del colore e della fantasia la sua principale arma. Il debutto di Brie Larson dietro la macchina da presa non è accompagnato da virtuosismi di colleghe e colleghi più esperti e, certamente non ce lo aspettavamo, ma risulta una regia statica, convenzionale e sbrigativa da film tv.

Pochi carrelli e poca diversità nelle inquadrature fanno abbondare invece inquadrature della protagonista in primo piano anche quando in scena, nel dialogo ci sono altri personaggi (il taglio della testa di Samuel L. Jackson avviene molte volte)

Gli unicorni esistono (o forse no)

Per vedere (realizzato) un sogno bisogna crederci, inseguirlo, questo ce l’hanno insegnato in tanti. Troppo spesso si pensa che il sogno sia dovuto, che l’unicorno ci attenda solo perché lo si desidera.

In realtà i sogni si realizzano con l’impegno, con il cambiamento di visuale, con l’animo e lo slancio del bambino che vuole inseguirli a perdifiato ma con lo sguardo e i pensieri di chi ha la maturità di poterli realizzare, magari con fatica.

Allora la casa dei sogni della bambina Kit non basta più, ci vuole una vera e propria stalla creata a regola d’arte con istruzioni (su YouTube) ben precise e legname di una certa qualità. Quindi Kit abbandona la sua solitudine e si apre a una nuova, fondamentale conoscenza. Chiede aiuto.

Purtroppo tutti questi messaggi, nel film, rimangono soltanto degli spunti. Poco sviluppati e approfonditi, vengono fagocitati in parte dalla dinamica degli eventi che si preoccupa di piacere puntando a tematiche “sicure”.

Voto: 5,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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