Recensione – A trent’anni dall’uscita in sala originaria torna sul grande schermo in edizione restaurata la pellicola che è diventata un cult per le scene divertenti rimaste nella memoria e per l’interpretazione dei due registi attori e sceneggiatori.
1984. Saverio, un maestro elementare, e Mario, un bidello, imboccano con la macchina una strada secondaria per evitare l’attesa di un passaggio a livello quando accade l’impensabile: un’improvvisa tempesta li porta indietro nel tempo fino al 1492. Dopo lo sgomento e la paura iniziali, Mario s’invaghisce della dolce Pia mentre Saverio pensa che la cosa più giusta da fare sia correre a Palos per fermare Cristoforo Colombo, impedendogli così di scoprire le Americhe.
Sono passati trent’anni dall’uscita di questo film nelle sale, in questi giorni ritorna in una versione restaurata e digitale. Il divertimento rimane immutato, come scolpito nel tempo e incurante delle innumerevoli volte che la tv lo ha trasmesso con annesse scene che molti spettatori sanno a memoria.
Lontano dall’essere un capolavoro equilibrato di sceneggiatura o una perfetta riproduzione della Toscana del 1500, il film ha proprio nel suo squilibrio la caratteristica maggiore. Uno squilibrio consapevole, che lascia spazio a tutto campo alle interpretazioni dirompenti di due artisti dell’improvvisazione, della smorfia, del tempo comico puro. Una profonda alchimia li unisce e fa sì che siano loro due, protagonisti, sceneggiatori, registi a indirizzare l’intera scena, gli altri attori si trovano a essere magicamente attratti da questo uragano di comicità e se ne servono molto spesso con ruoli pienamente soddisfacenti e si lasciano ricordare.
Non senza qualche passaggio a vuoto, si ride dall’inizio alla fine e le scene che vengono ricordate ancora oggi sono molteplici: la scena del passaggio a livello dove la mimica facciale e i giochi di parole la fanno da padrona, l’incontro con Leonardo da Vinci dove la cultura e la scienza di oggi vengono incanalate in un imbuto comico ad uno spaesato Leonardo, la storia d’amore ingenua con la bella e dolce Pia (una luminosa Amanda Sandrelli) che vede la musica e il romanticismo d’altri tempi farsi varco in una parodia dei giorni nostri, la lettera a Savonarola dove la citazione cinematografica a “Totò Peppino e la malafemmina” viene esaltata all’inverosimile creando una ancor più strampalata missiva, il passaggio doganale talmente divertente da dover essere girato decine di volte dai due attori tanto da far arrendere Benigni e Troisi e conservare la scena così come poi la vediamo, con le loro risate autentiche contrariamente alla maggiore serietà descritta sul copione.
“Non ci resta che piangere”, unico lavoro creato insieme da Troisi e Benigni rappresenta un film difficilmente inquadrabile in una categoria vera e propria e difficilmente giudicabile per il suo complesso. Non è un film che può ambire ad avere un voto altissimo nel complesso ma non è creato per questo: è un puro divertimento di due artisti nati per stare artisticamente assieme. Il destino purtroppo non ha dato la possibilità ai due di replicare la gioiosità e la freschezza di questo film in altre opere e il pensiero corre a quel Troisi troppo presto strappato al cinema italiano.
Film divertente, da vedere, vedere, vedere, vedere, vedere, vedere, vedere, vedere… perché nonostante le facilonerie e un andamento della storia ballerino dovuto alle innumerevoli scene ripetute e improvvisate, ogni volta che lo si rivede si ride, si ride, si ride, si ride, si ride.
Voto: 7,5 (per la tenuta nel tempo e il divertimento 9,5)
noi invece abbiamo i soliti idioti, con le loro parolacce e non so cos’altro.
Film memorabile, anche se condivido che non sia un capolavoro. Moltissime battute e situazioni si ricordano come mitiche, alla stregua di quelle con Totò e Peppino.
mitico film che soprattutto da ragazzino ho rivisto decine di volte… al cinema volevo andare ma forse è stato meglio tenermi il ricordo splendido che ho