Martedì 31 marzo, Iris, ore 21.00.
Mentre va in onda l’amichevole tra Italia e Inghilterra, che risveglia nostalgie fantozziane, il film di Francis Ford Coppola che conquistò pubblico e critica viene riproposto in prima serata: a distanza di 40 anni è ancora un modello per i film di genere gangster e uno dei vertici assoluti della settima arte.
IL PADRINO
(The Godfather, 1972, USA)
Drammatico
Diretto da Francis Ford Coppola
Con:
Marlon Brando
Al Pacino
Diane Keaton
Robert Duvall
Richard S. Castellano
James Caan
Talia Shire
John Cazale
Durata: 175 minuti
Trama:
Don Vito Corleone è a capo di una famiglia mafiosa di New York. Quando un gangster, Sollozzo, con l’appoggio di un’altra famiglia mafiosa, quella dei Tartaglia, annuncia la sua intenzione di cominciare a vendere droga a New York, don Vito si oppone all’idea, essendo contrario a questo nuovo business.
RECENSIONE
Il Padrino è un celeberrimo film diretto dal grande regista Francis Ford Coppola nel 1972. La pellicola ricevette tre premi Oscar ed è considerata a ragione una pietra miliare della storia della cinematografia mondiale. Essa è tratta dall’omonimo romanzo di Mario Puzo scritto nel 1969 e narra le vicende della famiglia mafiosa italiana Corleone emigrata a New York nei primi anni del ‘900.
Coppola, grazie alla sua impeccabile regia e all’appassionante e pressoché perfetta sceneggiatura di Puzo, riesce a dare a questo lungometraggio (e al suo sequel, Il Padrino parte II) una scorrevolezza inusuale per un film di quasi tre ore. Non da meno sono la calda fotografia di Gordon Willis e la celebre colonna sonora composta dal maestro italiano Nino Rota, per non parlare delle eccellenti performances degli attori protagonisti Marlon Brando, interprete del boss don Vito Corleone, e Al Pacino nelle vesti di Michael Corleone, terzogenito e successore come Padrino al padre Vito.
Tralasciamo le indiscutibili qualità tecniche della pellicola e concentriamoci sui nostri punti d’interesse, in altre parole le vicende dell’impresa a conduzione familiare Corleone e la sua relativa evoluzione in seguito al passaggio generazionale dal padre ai figli.
Nella primissima parte del lungometraggio vediamo come l’impresa mafiosa Corleone è ben avviata e costituisce una sorta di cartello insieme con altre quattro famiglie mafiose italo-americane (le cosiddette “Cinque famiglie”) con cui domina e gestisce molti giri d’affari malavitosi nell’area di New York. In particolare il core business della Famiglia Corleone è rappresentato dal gioco d’azzardo illegale e dai racket sindacali. Il suo potere è basato sia sulla corruzione e sulle conoscenze di don Vito Corleone negli ambienti legali e nella polizia, ma anche sui “favori”, in altre parole crediti, che egli elargisce a chi gliene fa richiesta in cambio della loro “amicizia” (nelle scene iniziali del film, durante il matrimonio della figlia, vediamo Vito Corleone ricevere uno per volta nel suo studio degli “amici” che gli fanno delle richieste). Per quanto riguarda l’organizzazione interna della Famiglia, essa è di stampo gerachico-meccanicistico: le regole e le direttive sono imposte dall’alto, la comunicazione è di tipo verticale, ma l’impegno e la fedeltà degli adepti sono rivolti all’organizzazione e ai suoi obiettivi, aspetto tipico delle organizzazioni con forma organica. Sono coniugate così le migliori combinazioni di caratteristiche dei due tipi di organizzazioni, anche se inizialmente potrebbero apparire inconciliabili. Nell’amministrazione della Famiglia don Vito Corleone si consulta col suo primogenito e probabile futuro Padrino, Santino detto Sonny (interpretato da James Caan), e col figliastro Tom Hagen (Robert Duvall), avvocato che cura esclusivamente gli interessi della Famiglia Corleone e, al contempo, consigliere e braccio destro del Padrino.
Un cambio di marcia nel film avviene quando don Vito Corleone riceve Virgil Sollozzo detto “il Turco”, trafficante di droga e protetto dalla una delle Cinque Famiglie, i Tattaglia. Questi chiede al Padrino un aiuto finanziario e protezione giudiziaria in cambio di una percentuale sulle vendite dell’eroina. Il figlio Sonny e il consigliere Tom Hagen vedono bene l’affare e consigliano a don Vito di mettere le mani sul traffico della droga prima che lo faccia qualcun altro (ottenendo così un vantaggio della prima mossa sui concorrenti) giacché il settore degli stupefacenti ha alto potenziale finanziario e chi riuscirà a controllarlo per prima avrà un grande potere per comprare più polizia e più potere politico. Il Padrino è un vecchio “uomo d’onore” che mette i propri valori e quelli della sua “famiglia” davanti alle scelte d’affari e sa che i valori che la sua “impresa” adotta possono essere d’aiuto nello stabilire costruttive relazioni politiche. Perciò don Vito rifiuta decisamente la proposta di Sollozzo: il rischio con l’investimento sulla droga è di perdere la protezione politica, in quanto commercio ritenuto “sporco”.
A seguito di questo incontro don Vito subisce un attentato da dei sicari di Sollozzo ed è in pericolo di vita, mentre in un altro attentato il primogenito Santino viene ucciso. Don Vito dopo essersi ripreso convoca i capi delle principali famiglie mafiose degli Stati Uniti per trovare la pace. Nel meeting si decide di permettere il traffico degli stupefacenti, ma con delle regole da rispettare, inoltre don Vito accetta di mettere al servizio delle altre famiglie le sue protezioni politiche e giudiziarie.
Il nuovo punto di svolta arriva quando assume il comando della famiglia Corleone il terzogenito Michael, che si era sempre tenuto lontano dagli affari familiari, ma che, in seguito all’attentato al padre, era intervenuto assassinando Sollozzo e il capitano della polizia corrotto da Sollozzo e si era quindi rifugiato in Sicilia. La scelta del successore nell’“impresa familiare” Corleone per il padre è quasi una scelta obbligata. Il primogenito Santino era stato assassinato, il secondogenito (e fin qui in disparte John Cazale) Fredo è poco intelligente e incapace di dirigere l’attività di famiglia, la sorella Connie (Talia Shire) è fuori discussione per ovvi motivi legati alla tradizione patriarcale siciliana. Il figlio Michael si è rivelato d’altronde un uomo astuto, poco emotivo e capace di reggere il peso dell’impresa familiare e dei suoi affari. Quest’ultimo, dopo la morte del padre don Vito, capisce che la morte del vecchio patriarca segna anche la fine della tregua con le altre famiglie e anticipa un probabile attentato nei suoi confronti decidendo di uccidere tutti i capi rivali e i suoi traditori. Tra i traditori figura pure il marito della sorella Connie, colpevole di aver incastrato Santino. Dopo tale mattanza, la moglie chiede a Michael se è vero tutto quello che ha fatto, ma quest’ultimo nega con decisione. Adesso Michal Corleone è il capo incontrastato della mafia newyorchese.
Il cambiamento avvenuto è evidente: Michael è un uomo e un Padrino diverso dal padre sotto molti aspetti. Don Vito fondava le sue azioni e la sua “politica aziendale” sui valori e sulle parole d’onore, Michael si affida invece alle menzogne e al calcolo spietato. Alla fine del film il nuovo Padrino decide di legalizzare i business della famiglia e per fare ciò decide di trasferire tutta la famiglia in Nevada, stato in cui il gioco d’azzardo, il core-business familiare, è perfettamente legale.
Coppola, nel narrare le vicissitudini della famiglia Corleone, fa passare alla storia del cinema un film in cui si realizza appieno l’intersezione tra famiglia e impresa, in cui gli scopi dell’una sono gli obiettivi dell’altra e viceversa, in cui vengono esplicitati molti dei temi ricorrenti sullo studio del family business: la selezione del management, il passaggio generazionale, la perdita di vista dei problemi connessi all’innovazione, i limiti alla crescita e la perdita di controllo del mercato, la combinazione delle caratteristiche delle organizzazioni meccanicistiche e di quelle a forma organica e via discorrendo. Il nodo centrale, tuttavia, è rappresentato dal cambiamento delle prerogative dell’impresa familiare Corleone: mentre con don Vito vi era una netta dominanza degli interessi della famiglia rispetto a quelli dell’impresa, con Michael Corleone il centro di gravità degli interessi si sposta sull’impresa e non più sulla famiglia che è addirittura costretta a trasferirsi pur di mantenere viva l’impresa grazie cui essa stessa vive.
(Sebastiano Marino alias Yaniano)
Curiosità:
Il film vinse 3 Oscar: per il film, l’attore protagonista (Brando), e la sceneggiatura non originale (Coppola e Mario Puzo). Il film ottenne inoltre la nomination per la regia, i costumi, il montaggio, il suono, le musiche di Nino Rota (nomination revocata poi con un pretesto) e addirittura per tre attori non protagonisti (Caan, Duvall e Pacino). Marlon Brando si rifiutò di ritirare il premio come segno di protesta verso le discriminazioni di Hollywood verso gli Indiani d’America. Alla cerimonia degli Oscar fece ritirare il premio da una donna indiana, Sacheen Littlefeather, che in seguito si scoprì essere una poco nota attrice californiana, Maria Cruz.
Partito con un progetto che prevedeva un film noir di costo medio (2 milioni e mezzo di dollari), il regista ottenne di gestire un budget più cospicuo (6 milioni), grazie a un intervento in extremis della petrolifera Gulf & Western. Così poté inserire nel cast Al Pacino e Marlon Brando (che superò il provino con un’improvvisazione registrata su nastro videomagnetico) e girare, in parte, direttamente in Sicilia.
La parte di Michael Corleone fu offerta a Warren Beatty, Jack Nicholson e Dustin Hoffman, ma tutti rifiutarono. Furono presi in considerazione per il ruolo anche Robert Redford e Ryan O’Neal. Per il ruolo di don Vito Corleone fu considerato anche sir Laurence Olivier.
Robert De Niro lesse i copioni sia del ruolo di Sonny che di quello di Michael Corleone. Coppola decise che non era adatto per il ruolo di Sonny, e aveva già in mente Pacino per quello di Michael.
Si dice che Burt Reynolds avesse ottenuto il ruolo di Michael Corleone, ma che Marlon Brando si fosse rifiutato di recitare con lui, considerandolo un attore televisivo.
Frank Sinatra poteva ottenere il ruolo di Johnny Fontana, ma questo andò ad Al Martino quando si notò che vi erano troppe similitudini tra le vicende di Johnny e di Sinatra stesso.
Brando voleva che don Corleone sembrasse un “bulldog”, così per le scene di prova riempì le proprie guance con dell’ovatta. Per le riprese portò una applicazione fatta da un dentista. Anche Al Pacino portò una protesi dentale: questa doveva dare l’impressione che Michael si fosse rotto la mascella dopo il pugno del capitano McCluskey (Sterling Hayden) e non l’avesse rimessa a posto.
Durante le prove, per la famosa scena del ritrovamento della testa di cavallo mozzata, ne fu usata una finta, mentre per le riprese fu utilizzata una testa vera.
Nella scena in cui Sonny picchia Carlo (Gianni Russo), Caan ruppe alcune costole al collega.
Puzo e Coppola decisero deliberatamente di non usare la parola “mafia” nella loro sceneggiatura.
Fu lo sceneggiatore Robert Towne a scrivere la scena nel patio in cui don Vito mette in guardia Michael sull’attentato che subirà.
La presenza delle arance nella trilogia de “Il padrino” preannuncia una morte o un pericolo.
Don Vito viene sparato dopo aver comprato delle arance, e muore con un’arancia in bocca. A Tessio (Abe Vigoda) viene lanciata un’arancia al ricevimento del matrimonio, e successivamente viene ucciso come traditore.
La scena della morte di don Corleone nell’orto di pomodori fu improvvisata.
Sofia Coppola (la figlia del regista) appare come la nipotina di Michael Corleone nelle scene del battesimo.
La regia de “Il padrino” fu offerta a Sergio Leone, che si rifiutò per poter realizzare il proprio progetto di un gangster movie. Il film – C’era una volta in America (1984) – fu realizzato anni dopo, e Leone si rammaricò per aver rifiutato il film.
Curiosamente la “coppola” è il nome del tradizionale cappello siciliano (indossato ad esempio dalle guardie del corpo di Michael in Sicilia).
L’attore che recitava la parte di Luca Brasi, Lenny Montana, era così emozionato di dover recitare con Brando, che al primo ciak sbagliò alcune battute. A Coppola piacque così tanto quel genuino nervosismo da usare la scena nel film. La scena in cui Brasi prova il suo discorso fu aggiunta in un secondo momento.
Anche se i film sulla mafia, e in particolare quelli come questo che la fanno diventare epica, non mi sono mai piaciuti tanto. Però qui siamo davanti ad un cast da spellarsi le mani, e quindi mi alzo ed applaudo anche io. Brando da urlo.