Mercoledì 25 febbraio, La5, ore 21.00.
Sia chiaro, questa commedia agrodolce non è un capolavoro, ma è sicuramente uno dei film del cuore per chiunque abbia amato un animale domestico al pari di un familiare.
Io & Marley
(Marley and Me, 2008, USA)
Regia di David Frankel
Con
Owen Wilson
Jennifer Aniston
Kathleen Turner
Alan Arkin
Durata: 115 minuti
Trama:
John e Jenny sono sposi nell’inverno gelido del Michigan. Innamorati e ansiosi di intraprendere una vita insieme si trasferiscono nella più calda Florida, dove trovano il lavoro e la casa dei loro sogni. Occupati per testate giornalistiche diverse, i coniugi Grogan progettano in salotto di allargare la famiglia. John, indeciso sulla paternità, fa le prove generali e compra un cucciolo in saldo per il compleanno di Jenny.
RECENSIONE
Owen Wilson e Jennifer Aniston sono due novelli sposini, all’inizio di questa saga microfamiliare che abbraccia almeno una decina d’anni. Entrambi fanno i giornalisti, lei con leggero successo in più, mentre lui aspira a fare il reporter, come il suo amico belloccio e sciupafemmine. La moglie però ha un piano: trasferirsi (ci riescono), trovare un posto di lavoro sicuro (ci ri-riescono, e Wilson stringerà un particolare rapporto anche col suo caporedazione, Alan Arkin, molto sobrio nel ruolo), e farsi una famiglia. L’idea di Wilson però è di rinviare di almeno un paio d’anni questa decisione, e per tamponare il bisogno di una famiglia, adotta Marley (in onore di Bob), un cucciolo di labrador. Il film qui ha la sua fase Beethoven, cioè col cane combinaguai, le matte risate, lo stress (divertito) accumulato dalla coppia (anche quando vogliono stare da soli, il cane è al bordo del letto ad alitargli addosso, scena classica ma che funziona sempre).
Il cane cresce, così come i guai, ed è anche una metaforica spalla sui cui piangere, quando la coppia prova finalmente – senza successo – ad avere un bambino. Alla fine poi la prole arriva (e anche numerosa), così come un nuovo trasloco, l’abbandono del lavoro da parte di lei controbilanciata dalla promozione di lui (scrive, anche se controvoglia, una rubrica giornaliera di “opinioni”, e grazie al coinvolgimento puntuale delle esperienze con Marley, su tutte quando assalta al primo giorno di lezione la sua addestratrice, una invecchiata e ingrassata Kathleen Turner che ricorda un “barboncino”, la rubrica è seguita e divertente).
Qui c’è la fase Revolutionary Road del film: la coppia è pronta a scoppiare, i figli (e il cane) assorbono tutto il loro tempo, l’amore non trova più spazio, lei diventa insopportabile, lui sempre più frustrato nel lavoro (e invidioso del collega scapolone)… … invece le cose si rimettono lentamente a posto. Da qui la storia (diretta dal regista de Il diavolo veste Prada) naviga a vista verso un prevedibile lieto fine familiare, anche pregno di significati, grazie all’elemento “morte del cane”. L’addio del suo padrone al cane malato, portato dal veterinario per l’iniezione letale, è struggente (da lacrimoni per chi ce l’ha avuto un cane; “se dai il tuo cuore a un cane, lui ti darà il suo: di quante persone si può dire la stessa cosa?”); quello della “padrona”, anche: lo seppellisce con una collanina legata a tanti ricordi (su tutti, quando il cane se la mangia e poi la ri-espelle; “ti abbiamo adottato perché volevamo aspettare a farci una famiglia, e invece ce l’avevamo già”); e anche quello dei piccoli di casa, con il primogenito che legge e rilegge gli articoli del padre (e guarda i filmini in cui è neonato, col cane sempre a vegliare su di lui) e il secondogenito che addirittura gli scrive una lettera firmandosi “tuo fratello”.
Questo è un cane, quando lo si cresce sin da piccolo e lo si vede diventare grande, invecchiare e morire. Un membro della famiglia. Un cucciolo da educare, rimproverare, perdonare, quando ne combina di tutti i colori; un amico, un fedele compagno, una spalla su cui piangere, perché i suoi occhioni sanno quand’è che sei triste, lo capiscono; anche un mezzo per rimorchiare (come fa l’amico di Wilson, prima con Marley, poi persino con i figli dell’amico: e anzi, in un casuale incontro a fine film, dopo che si son persi di vista, colui che invidia la vita dell’altro è proprio il reporter d’assalto e single); infine, diventa un fratello, un compagno di giochi, per i bambini, e un nonno, per tutta la famiglia, quando c’è da prendersene cura, quando è “memoria storica” di un bel pezzo di vita condivisa quotidianamente… e anche se forse ce l’ho visto solo io, questo significato, tanto umano è un cane, negli affetti, tanto umana è la fine che viene loro concessa, quando arriva il momento. L’importante è che sia lui a fartelo capire. (Papele alias Raffaele Marino)
Curiosità:
Ben 22 cani hanno interpretato Marley.
I genitori di Wilson nel film sono interpretati dai suoi veri genitori. Non essendo attori professionisti, la loro maggiore preoccupazione era di non chiamare il personaggio del figlio “Owen”.
L’autore del libro, John Grogan, appare nel ruolo del padrone del cocker spaniel nella scena dell’addestramento dei cani.
Jennifer Aniston aveva inizialmente rifiutato il ruolo perché non voleva fare un film “sui cani”.
Costato 60 milioni di dollari, il film ne ha incassati oltre 140 solo negli USA.
Nel 2011 è uscito direttamente per il mercato home video Io & Marley 2, un “mid-quel”.
Cavolo, non sarà un capolavoro della cinematografia moderna ma per chiunque ha o abbia avuto un animale da compagnia è tra i film più belli in assoluto, da vedere e rivedere.
Devvero un bel film. Ed è quello che descrive in maniera più autentica e vera il rapporto uomo-cane (o meglio famiglia-animale domestico). Da questo punto di vista il migliore in assoluto.
Mamma mia quante lacrime. Un film che mi riportó al rapporto da familiare che avevo con il mio cane. Non a caso in un cortimatik ne feci un corto (decisamente non riuscito, ma simile a questo film). Avete ragione a dire che non sarà un capolavoro, ma è ben fatto e riesce a dare l’idea di quello che può essere avere un animale in casa. Certo è che chi non l’ha mai avuto difficilmente potrà capire lo strazio nel vederlo morire.