Recensione – Il Mosè oscuro di Ridley Scott è un uomo tormentato che opera la sua conversione da principe a guida del popolo di Israele in maniera molto anonima. Un discreto “compitino” del regista di kolossal storici. Se la storia c’è, il kolossal no.
Mosè e Ramses, futuro sovrano d’Egitto, sono allevati come fratelli da Seti, faraone illuminato che governa con saggezza la sua gente e difende i suoi confini con l’aiuto dell’esercito e la benevolenza degli dèi. In battaglia Mosè, raccolto dalle acque del Nilo da una principessa e cresciuto come un figlio da Seti, salva la vita a Ramses, principe irrequieto e complessato, che alla morte del padre e su consiglio della madre decide di esiliarlo. Le origini ebraiche di Mosè, rivelate dai saggi, che riconoscono in lui il profeta che libererà il loro popolo da una schiavitù lunga quattrocento anni, gli alienano la lealtà del fratellastro e lo conducono verso un destino più grande. Abbandonato nel deserto, Mosè trova soccorso tra le braccia di una donna araba e di un dio-bambino, che ‘arma’ il suo braccio contro Ramses e lo guida con gli ebrei fuori dall’Egitto e verso la Terra Promessa. Il faraone, ostinato e superbo, dichiara guerra a Mosè e al suo popolo, conducendo gli egiziani alla rovina sul fondo del Mar Rosso.
Dal regista di Alien, Blade runner, Il Gladiatore, American Gangster, Un’ottima annata, e tanti altri film di vario genere ti puoi aspettare di tutto. La varietà delle tipologie di film con la quale Ridley Scott si è confrontato con alterne vicende lo rendono poliedrico e ricercato dagli studios. Studios che han commissionato questa riedizione delle vicende del libro dell’Esodo inserito nel libro dei libri: La Bibbia.
La figura di Mosé è stato trattato diverse volte dal cinema e dalla tv e se da una parte abbiamo i film che si addentrano in un discorso religioso, dall’altra abbiamo i film che intraprendono una visione più storica della vicenda. Scott in questo caso, decide di non seguire nessuno dei due filoni. Non per originalità ma per cercare di accontentare un po’ tutti, dal cristiano credente al laico poco incline alle vicende cristiane. Il film risulta così equilibrato ma sottratto di quell’empatia, quella profondità, quella complicità tra trama, immagini, personaggi e sceneggiatura tanto da renderlo un “kolossal a salve”.
Durante la visione di “Exodus” i paragoni e i confronti con i film precedenti di Scott scaturiscono naturalmente nella mente dello spettatore e il confronto maggiore lo si fa con “Il Gladiatore”. Molte atmosfere e paesaggi naturali lo ricordano e il parallelo Ramses/Mosé è il medesimo che si è visto trattando le vicende iniziali di Commodo e Massimo Decimo Meridio. Mosé poi, per quanto poco sia costruito, appare un personaggio che subisce le vicende, un Mosé certamente più umano nelle sue perplessità e nei suoi tormenti ma simile a un supereroe quando prende in mano la sua spada, e il fatto che Mosé sia impersonato da Christian Bale, il batman della trilogia di Nolan, non aiuta affatto il togliersi dalla mente questa visione.
Nonostante tutto questo film non è da scartare, ci son parecchi elementi creati stilisticamente bene come la scena senza soluzione di continuità delle 10 piaghe d’Egitto, scena che non indugia troppo sulle piaghe ma che fa sentire la sua presenza, fare di più sarebbe stato strafare e questo Scott l’ha evitato. E’ costruito molto bene il personaggio di Ramses e, nonostante si accenni soltanto a personaggi importanti nella vicenda biblica come Aronne, anche i personaggi secondari risultano utili all’economia del film.
In conclusione un film che si lascia vedere, sicuramente poteva essere fatto di più e meglio, manca di un’anima, di un clima che coinvolga lo spettatore fino in fondo. Un kolossal che di epico ha soltanto qualche bella inquadratura dei paesaggi e delle costruzioni egiziane accompagnate da una colonna sonora che solo a tratti risulta grandiosa.
Voto: 6