RecensioneCon l’intento di replicare l’operazione “Kick-Ass” il regista Vaughn cerca di esaltare i luoghi comuni sul mondo delle spie prendendosene gioco con ironia e sarcasmo. L’operazione riesce solo a tratti e come si dice diverse volte nel film “questo non è il quel genere di film”.

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L’agente Lancillotto perde la vita durante una missione di guerra e il suo capo, Galahad, non si perdona e offre al figlio piccolo del compagno scomparso una medaglia e un numero di telefono. Diciassette anni dopo quel bambino è un ragazzo, Eggsy, che si è messo nei guai con dei delinquenti del quartiere. Comporrà quel numero di telefono e si ritroverà davanti Galahad in persona, alias Harry Hart, pronto ad offrirgli l’occasione di una nuova vita. Una vita da spia. Una vita da Kingsman.

Sin dalla dinamica dei titoli di testa si capisce che il film non sarà un film convenzionale e che spingerà lo svolgersi delle scene alla ricerca della sorpresa dello spettatore. Vaughn ci presenta un film sull’iniziazione di una nuova spia e ci fa percorrere tutte le tappe dell’addestramento. Un addestramento costituito da giochi ben congegnati e dalle solite rivalità, dai soliti straniamenti della recluta predestinata e che si aggiunge al gruppo un po’ per caso.

kingsman-jacksonIl regista vuole mettere in bella mostra quelle che sono le caratteristiche tipiche dei film di spionaggio ma nello stesso tempo si serve di questi elementi per spingere il concetto all’estremo dell’azione, della colorazione pop con veri e propri schizzi di cultura splatter. Il film è pieno di citazioni dirette e indirette e non ha il timore di mostrare e incasellare in maniera più o meno riuscita all’interno della vicenda. Si citano Star Wars, Una poltrona per due, My Fair lady, Pretty woman, 300 (in una delle scene meglio riuscite), Matrix e persino Shining giusto per citare i primi che son rimasti in mente.

Inevitabile ovviamente, citare James Bond di cui ne riprende quasi totalmente lo stile British e quell’amore per i vestiti, le pistole, le bond girl, l’eleganza negli atteggiamenti e i gadget che, a dire la verità si rifanno molto all’equipaggiamento dei Men in Black. Particolarmente indicativo il gioco sulle lettere JB, che non indicano più James Bond o Jason Bourne, ma il meno convenzionale Jack Bauer.

kingsman_3Nonostante molte scene siano ben realizzate, il film nella sua interezza non convince appieno. Non tanto per il ritmo che invece è sempre sostenuto, e persino a tratti fin troppo veloce quanto per la continua tensione a ricercare l’azione tralasciando quelli che sono i sentimenti, le motivazioni, le caratteristiche proprie dei personaggi. L’unico personaggio che ha un accenno di caratterizzazione è Richard Valentine (il cattivo di turno) di cui si evincono in maniera visibile la pazzia, la schizzofrenia e la paradossale ipersensibilità per sangue e violenza. A lui vengono anche affidati i principali risvolti ironici della vicenda.

Mentre Colin Firth è perfetto nel suo essere la classica spia britannica, Taron Egerton (Eggsy) appare un po’ spaesato complice una sceneggiatura un po’ troppo altalenante tra un corretto e fluido svolgersi della scena e la volontà di sorprendere con battute che molte volte sembrano inappropriate, fuori luogo e fuori contesto.

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Dal finale (oltre gli iniziali titoli di coda) aperto è chiaro anche il progetto di continuare con un eventuale seguito. Bisognerà vedere l’accoglienza del pubblico. Per il momento si può dire che il film è un buon intrattenimento senza particolari pretese.

Voto: 6,6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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