Recensione in anteprima – Dopo il pluripremiato “La teoria del tutto”, James Marsh torna al cinema dirigendo un’altro biopic. La misteriosa scomparsa di Donald Crowhurst viene narrata dal punto di vista delle aspirazioni e paure del protagonista. Un film riuscito solo in parte. Al cinema dal 5 aprile.
Nell’autunno del 1968, Donald Crowhurst (Colin Firth), padre di famiglia e uomo d’affari inglese, prende il largo. Appassionato di vela e deciso a provare il proprio valore, partecipa senza esperienza al Golden Globe Challenge, la prima corsa di vela solitaria intorno al mondo senza scalo. Sostenuto dalla moglie e dai tre figli, si lancia in questa incredibile avventura attraverso i mari e i suoi rovesci convinto di meritare il premio e le pagine del “The Sunday Time”. Ma il mare non fa sconti e Donald scopre a suo spese il prezzo dell’ambizione e del dilettantismo.
Il titolo originale del film è “The mercy”, la pietà, la compassione, la misericordia e, ovviamente, non è un caso. Se si guarda alla struttura e all’insieme della pellicola, la stessa non viene presentata come la storia di un’avventura per mare ma, piuttosto il racconto si concentra sull’uomo Donald C. che, per riscatto personale cerca di intraprendere un’avventura al di sopra delle sue possibilità.
Ad interpretare Donald abbiamo il premio Oscar Colin Firth che, in realtà dimostra tutti i vent’anni in più rispetto al Donald della storia vera. Più vicina all’età della reale moglie di Donald è un altro premio Oscar: Rachel Weisz che interpreta appunto Clare, un personaggio disegnato da James Marsh come perfettamente leale al marito nonostante i suoi forti dubbi sulla regata.
“Il mistero di Donald C.” evidenzia il contrasto tra la serenità di una famiglia che si diverte su una barca su un lago e la preoccupazione per quella stessa acqua, in questo caso salata del mare che vedrà il capofamiglia intraprendere il viaggio intorno al mondo in solitario. Il 1969 è anno importante per l’umanità e il periodo è foriero di quella grande capacità dell’umanità nel voler dimostrare di poter superare ogni limite fino a quel momento ancora non valicato.
Lontano dalla tecnologia “social” che ci fa sapere in ogni istante dove siamo e dove si trova la persona o il gruppo di persone che ci interessa, Donald intraprende un’avventura che viene scandita da giornali di bordo, da registrazioni effettuate da lui stesso e dalla memoria del suo racconto al suo ritorno.
La consapevolezza di essere incastrato tra l’orgoglio di non abbandonare il progetto fa partire Donald ma ben presto la navigazione prende una rotta imprevista. L’inesperienza, la poca preparazione presentano il conto a Donald. Qui il film si fa intimo e percorre le vie della vergogna, della paura di essere considerato un fallito, della consapevolezza di non poter più guardare con gli stessi occhi la persona che si ama e la famiglia che si adora. Per Donald, non essere più l’eroe di casa diventa un peso enorme e la scelta di una scorciatoia, senza troppi clamori diventa la sua missione.
Molte volte di fronte a una sfida troppo grande per noi, consapevoli di non essere preparati ci si abbandona alla volgare ricercare di scorciatoie, di sotterfugi, di scuse, per giustificare al nostro orgoglio la disfatta e presentarsi, senza troppo rumore, di nuovo, ai nastri di partenza di una nuova sfida, dopo il nostro ritorno, dopo il nostro arrivo.
La consapevolezza però della verità è pesantissima, di quella pesantezza che annienta, di quella pesantezza che ti porta a fondo e ti lascia affogare. Meglio sarebbe accettare la sconfitta, ma questo è un coraggio che non tutti sanno trovare.
Voto: 6,7