Recensione in anteprima – Colpevolmente in ritardo di oltre un anno, arriva anche in Italia il magnifico affresco di Michael Dudok De Wit. Un film d’animazione che si fa notare per l’assenza di dialoghi e la forte presenza della natura. Metafora e simbolismo si alternano e si fondono in un cartone animato delicato e poetico.

Scampato a una tempesta tropicale e spiaggiato su un’isola deserta, un uomo si organizza per la sopravvivenza. Sotto lo sguardo curioso di granchi insabbiati esplora l’isola alla ricerca di qualcuno e di qualcosa. Qualcosa che gli permetta di rimettersi in mare. Favorito dalla vegetazione rigogliosa costruisce una zattera, una, due, tre volte. Ma i suoi molteplici tentativi sono costantemente impediti da una forza sotto marina e misteriosa che lo rovescia in mare. A sabotarlo è un’enorme tartaruga rossa contro cui sfoga la frustrazione della solitudine e da cui riceve consolazione alla solitudine.

“La tartaruga rossa” ha una storia di lavorazione che dura da almeno un decennio. Figlia produttiva di diverse compagnie di diversi paesi, vede la luce in Francia ma ha supporti produttivi americani, belgi e soprattutto giapponesi. Quel Giappone con l’intervento dello Studio Ghibli e dei suoi  maestri.

Non si può liquidare “La tartaruga rossa” come un semplice film d’animazione e risulta altresì imperdonabile il ritardo con il quale questo fantastico film arriva nelle sale italiane e come evento di soli tre giorni. La pellicola doveva avere una maggiore visibilità anche se come film d’animazione appare non commerciale e poco adatto al grande pubblico.

L’assenza di dialoghi per tutti gli ottanta minuti ne complicano la visione ai più piccoli ma non ne intaccano la poesia, anzi la esaltano. I rumori della natura e i rumori dei sentimenti, della paura, dei sogni e delle vicende che accadono al protagonista diventano i protagonisti stessi della prima parte. La solitudine dell’uomo paragonata all’isola deserta in cui tutti gli animali appaiono in coppia o in stormi.

L’unica, la tartaruga rossa è da sola, sola cerca di far rimanere l’uomo e lo invita a una vita diversa. Una vita piena di natura e della sua essenza. Non sappiamo nulla di nessuno dei personaggi della vicenda, non sappiamo nemmeno per quale motivo il naufrago arriva sperduto sull’isola. La scelta del regista Michael Dudok De Witt è chiara, precisa. Il suo mondo è senza tempo e allo stesso modo, ha un tempo circolare ben chiaro, il ciclo della vita. Raccontato attraverso gli animali e i protagonisti che creano la loro famiglia, la loro civiltà per poi vedersela spazzata via, come a rimarcare nell’incredibile potenza della natura.

Si nasce, si cresce, ci si abitua ad amare la semplicità e poi si muore, inevitabilmente, perché questa è la vita e la morte come parte di essa. Le immagini create con carboncino sfumato dei fondali, la computer grafica per gli elementi più dinamici della scena e la tecnica tradizionale dell’animazione anche attraverso l’ausilio di penne grafiche digitali vengono pensati e amalgamati in modo perfetto quasi da perdersi l’uno nell’altro.

Nonostante l’assenza di dialoghi, la sceneggiatura, fatta di immagini fortemente simboliche e, a volte, anche oniriche dicono molto senza spiegare, rivelano senza mai risolvere, una condizione perfetta per incollare lo spettatore allo schermo e renderlo partecipe della vicenda.

Un bel film quindi, difficile per la visione particolare mentre diretto, semplice nel messaggio pensato nei dettagli.

Voto: 7,8

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Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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