Recensione in anteprima – Trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay, Moka (questo il titolo originale) sarà disponibile nelle sale italiane dal 17 novembre.
Diane Kramer (Emmanuelle Devos) ha un’unica ossessione: trovare il conducente dell’auto che ha investito ed ucciso suo figlio Luc, devastandole la vita. Con l’aiuto di un investigatore privato, Diane raccoglie alcuni indizi che la portano verso il principale sospettato: una donna bionda proprietaria di una Mercedes color caffè. Con una valigia e poche cose decide di trasferirsi nella cittadina dove è stata segnalata l’auto incriminata. Dopo giorni di ricerca, Diane risale all’identità della proprietaria dell’auto: Marléne (Nathalie Baye), misteriosa ed elegante titolare di una profumeria del centro. Da quel momento Diane inizia ad insinuarsi silenziosamente nella vita di Marléne, stabilendo con lei un legame particolare. Ma la strada della vendetta si rivela ben presto più tortuosa di quello che pensava, tuttavia Diane è sempre più decisa a farsi giustizia da sola: per sé stessa e per suo figlio.
Per il suo secondo lungometraggio il regista svizzero Frédéric Mermoud porta sul grande schermo l’adattamento cinematografico di Moka, romanzo della scrittrice Tatiana de Rosnay. Da subito il regista decide di far sua la storia spostando l’ambientazione da Parigi e Biarritz a Losanna ed Evian, lungo il confine franco svizzero. Un cambiamento geografico ben sfruttato che dona al film un tono malinconico e misterioso. Il lago Lemano, in particolare, diventa una sorta di frontiera acquatica tra due mondi: da Losanna, luogo dell’incidente, Diane si sposta ad Evian per trovare il colpevole che ha causato la morte di suo figlio. Questa ricerca porta la protagonista a diventare attrice della propria vita, anche assumendo una nuova identità per non destare sospetti: è disposta a tutto pur di risalire alla verità.
Per Mio Figlio ruota attorno all’evoluzione di Diane, dal suo desiderio di vendetta fino ad una sorta di riconciliazione con sé stessa. In un primo momento, infatti, la protagonista è convinta che farsi giustizia da sola sia l’unico modo per accettare la morte del proprio figlio. Diane si trova, però, ad affrontare gradualmente l’umanità e la complessità della donna che si suppone essere la responsabile dell’incidente e finisce per essere toccata dalla figura di Marléne.
Diane e Marléne sono personaggi ambigui, misteriosi e intensi. La fotografia, curata da Irina Lubtchansky, accentua queste caratteristiche alternando i primi piani sui volti delle due donne alle immagini dense, contrastate, pittoresche e quasi irreali dei paesaggi.
Il regista si mostra più deciso ad indagare la complessità e la psiche delle due donne piuttosto che sviluppare la tensione che la storia è in grado di offrire. Il film, infatti, è totalmente privo di suspense tant’è che lo spettatore comprende fin da subito chi sia il vero responsabile dell’incidente. Mermoud insiste sulla ricerca della verità e su come i personaggi finiscono per fronteggiare la propria vita e il proprio mondo interiore fatto di luci ed ombre.
Per Mio Figlio è un film dal ritmo altalenante in cui la narrazione risulta a tratti lenta e poco compatta; un’opera che non sfrutta a pieno la forza e le potenzialità del soggetto di partenza.
Voto: 6,3