Recensione in anteprima – Blake Lively in 87 minuti di one woman show per difendersi da uno squalo. Questo il riassunto di un film che arriva alla fine dell’estate e che esorcizza la paura del mare. In uscita in Italia il 25 agosto.
La giovane studentessa universitaria di medicina Nancy ha scelto per le sue vacanze un luogo dell’anima, un’incantevole e solitaria spiaggia messicana dove sua mamma, morta di recente, amava andare anche quando era incinta di lei. L’amica che doveva accompagnarla le dà buca, rimanendo, ubriaca dopo una notte brava, in albergo. Un locale, Carlos, le dà un passaggio sin lì, ma poi lei rimane sola con la sua tavola da surf. Incontra un paio di surfisti e si diverte a cavalcare le onde con loro per un po’. Poi, mentre sta per calare la sera, loro se ne vanno e Nancy resta del tutto da sola. In acqua, delfini l’affiancano giocosi. Poi, più al largo, scorge un cetaceo morto dilaniato e subito si fa vivo chi l’ha ucciso: un grande squalo bianco. Nancy si ritrova così a combattere per la vita nelle acque basse vicino alla riva, trovando prima precario rifugio sul cadavere del cetaceo e poi su una roccia affiorante, con la riva (e la salvezza) a una distanza breve ma apparentemente incolmabile, a causa dello squalo che implacabile pattuglia le acque in attesa della sua preda.
A giudicare dai passaggi dei trailers prima dei film nelle sale in questo periodo, la Warner Bros. punta abbastanza sulla buona riuscita di pubblico al cinema di questo suo film. 87 minuti di sole, mare, spiaggia. Niente di più. O meglio, tanto di più ma concentrato e se è buono che il tutto non venga troppo annacquato in un mare di riferimenti inutili e sottotrame, la sceneggiatura, quella vera, naufraga in un oceano di spunti mal gestiti e di strafalcioni logici. Unica cosa che si salva, magra consolazione è costituita dall’azione. Buona e tanta.
Sin dalle prime immagini l’intenzione di “usare” il corpo della protagonista è fin troppo chiara. Già dalle prime scene vengono dedicati alla bellissima Blake Lively dei primissimi piani sul suo viso e sulle parti strategiche del suo corpo che risulteranno utili nell’evolversi della vicenda. E’ inutile dire che per i maschietti è uno spettacolo per gli occhi e per i critici è forse, un campanello d’allarme.
Allarme che si conferma poi nel proseguimento della vicenda, sulla spiaggia e in mare, quando si tratta di fare scelte più logiche sia nel pericolo sia nel segnalarlo. Abbastanza illogica poi la dimensione dello squalo e la ferita che procura a Nancy con continui cambi di dimensioni dello squalo stesso.
Sorvolo sulle competenze mediche ed infermieristiche, enunciate a voce alta, dalla protagonista, non conosco la materia e quindi le do’ per corrette anche se molti, in sala, manifestavano i propri dubbi.
Nonostante tutto ciò il film, complice la brevità, è godibile, il regista crea molto bene alcune scene di tensione ed emotivamente forti creano una sorta di gioco di sopravvivenza che appassiona lo spettatore. Altre volte le scelte avventate e inverosimili di sceneggiatura lasciano qualche perplessità e, sebbene lo script non poteva presentare grandi slanci originali, sicuramente è più scarno del previsto, lanciandosi senza mordente in flashback e in un passato di Nancy che attenua la tensione ma che lascia il tempo che trova.
Molto interessanti le sovraesposizioni degli strumenti che Nancy usa. Abbiamo infatti ben visibile a schermo intero lo smartphone con le videochiamate e lo scandire delle ore e dei minuti con un grosso quadrante d’orologio/cronometro.
Lo diciamo ora, ma sicuramente il rimando a “Lo Squalo” vi è già venuto in mente, “Paradise Beach” si innesta in quel filone senza però essere neanche lontanamente paragonabile al capolavoro di Spielberg. Personalmente il film mi ha ricordato “Open Water” almeno come impostazione del film sin dall’incipit e il punto di vista unico della protagonista.
In fin dei conti un film dimenticabile che si lascia vedere per la bellezza scoperta di Blake Lively e per qualche scena di alta tensione.
Voto: 5,5