Recensione in anteprima – Dopo la parentesi nella fantascienza, Gavin Hood si rituffa in un film di guerra. Guerra a distanza, di quella moderna, che si fa attraverso telecomandi e video. Il film ha il pregio di creare la giusta tensione tra i diversi poteri in gioco. Nei cinema italiani dal 25 agosto.
Il colonnello Powell guida a distanza una squadra di militari antiterrorismo nella cattura, in territorio kenyano, di una cittadina inglese che ha rinnegato il proprio Paese per il fondamentalismo islamico di Al Shaabab. Quando l’esercito, servendosi di droni, scopre la verità sui piani dei terroristi l’urgenza di fermarli con ogni mezzo diviene una priorità. Ma nei piani alti nessuno vuole prendersi la responsabilità di un attacco letale e dei suoi danni collaterali.
Dopo il fantascientifico “Ender’s games”, il regista Gavin Hood ritorna al film di guerra. Una guerra diversa dal solito. Una guerra combattuta nelle stanze e a distanza con però, obiettivi e vittime vere. Non dev’essere facile creare un film che possa dare almeno l’idea della tensione emotiva che può scorrere nei pensieri, nelle azioni dei militari che si trovano a effettuare operazioni belliche senza avere un confronto diretto con l’avversario. Non è facile nemmeno pensare a una guerra quando quella, nella realtà non c’è ma si tratta di operazioni sotto copertura, con infiltrati sul campo nella vita quotidiana di un villaggio che ha il difetto di essere rifugio di terroristi.
Gavin Hood ci riesce. Ci riesce anche bene nonostante scene dovutamente statiche e con l’ausilio di dialoghi fitti, molto spesso ripetuti e alcune volte piene di silenzi esplicativi e carichi di tensione. Una sceneggiatura che si destreggia bene tra gergo militare, termini giuridici, vocabolario politico e sociale senza essere troppo noioso.
Il cast, costellato da un buon numero di attori e attrici di prim’ordine fanno il resto. Abbiamo un irremovibile Alan Rickman, qui all’ultima sua performance in un film, una decisa Helen Mirren pronta a tutto pur di portare a termine la missione e un politico di misura Iain Glen e un sentito Aaron Paul con il dito pronto e pensieroso sullo sgancio del missile.
Una guerra moderna, a distanza e la difficoltà a valutare con mano gli effetti collaterali, come vengono chiamati: cioè le morti tra i civili, nonostante tutto, nonostante tutti i calcoli.
“Il diritto di uccidere”, meglio noto con il più azzeccato “Eye in the sky” è un modo asciutto e corretto di presentare quanto in realtà accade da un po’ di tempo nelle stanze del potere inglesi, americane, europee, ecc… una stanza dei bottoni vera e propria che può decidere non solo della protezione dei propri cittadini ma anche della morte “collaterale” di altri individui. Una fotografia ben riuscita di implicazioni morali, politiche, militari che difficilmente può avere una soluzione corretta.
Grazie all’ottimo cast, alla buona sceneggiatura, alla regia diretta e ben calibrata Gavin Hood confeziona un buon film che lascia anche pensare senza però essere evocativo o forzatamente didattico.
Voto: 7,1