Recensione in anteprima – Andrew Renzi esordisce nei lungometraggi con questo film presentato al Tribeca Film Festival. Un dramma intriso e attraversato dal dolore interiore del suo protagonista, un bravo Richard Gere che rischia però di essere pregio e limitazione del film stesso. Il film esce in Italia il 23 dicembre.

Franny

Richard Gere è Franny, un milionario filantropico, sopra le righe, senza famiglia, né lavoro, convinto di poter alleviare il suo senso di colpa con i soldi e la morfina. Quando, dopo cinque anni, Olivia (Dakota Fanning) l’unica figlia dei suoi più cari amici tragicamente scomparsi, ritorna nella sua vita, per non perdere anche lei, è costretto a mettere a nudo il suo dolore e le sue debolezze.

Richard Gere ha dato prova più volte di avere una qualità recitativa non comune anche se questa caratteristica non sempre è stata mostrata in tutti i suoi film, anzi, inquadrato come un attore da commedia lo si trova invece in questo film drammatico opera prima di Andrew Renzi.

La figura di Richard Gere, protagonista indiscusso del film, monopolizza l’intera pellicola che viene letteralmente sbriciolata dalla vicenda che investe Franny nei suoi sentimenti, emozioni, ma soprattutto nei suoi ricordi e nelle sue colpe.

Andrew Renzi cerca di portarci dentro il dolore dell’uomo, un dolore pieno di sensi di colpa per l’accaduto, pieno di solitudine, di fuga dalla realtà, di silenzi, di ipnotico e illusorio divertimento ricercato in donne di facili costumi, in droghe improvvisate e in vagheggianti volontà di sentirsi diverso da quanto ci si sente dentro.

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Nasce così un personaggio istrionico, disturbato, scorbutico, solo fintamente affabile, una maschera piena di odio verso se stesso e caricata di una filantropia tanto spocchiosa e invadente da mal celare lo svuotamento totale di ideali dell’azione stessa.

Il limite e il pregio del film sta tutto qui, aver oltremodo sviluppato il personaggio di Franny, un personaggio complesso e ben interpretato da Richard Gere e una narrazione che tiene conto anche di particolare che, se non colpiscono subito, lo fanno dopo, a distanza. Ecco allora l’uso dei mezzi di trasporto, privato con autista quando Franny si sente bene, mezzi pubblici quando Franny è in crisi con sè stesso. Delle dicotomie sceniche che sottolineano il disagio ed esaltano la falsità di una maschera di bontà

Tutto questo è anche un limite, perché poi gli altri personaggi non vengono sviluppati, il film soffre di qualche passaggio forzato, di qualche buco di sceneggiatura e di qualche poco spiegabile scena oltremodo drammatica.

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Richard Gere comunque si mette in gioco come poche volte lo abbiamo visto fare, lascia le sue sicurezze da brizzolato sex symbol per apparire debole e trasandato. E’ lui il film è lui Franny e così doveva essere.

Voto: 6,5

Fom per chi? Giovani e adulti.

Fom perché? La dipendenza e il dolore vista con uno sguardo importante e drammatico ma soprattutto dietro quella maschera di illusoria realtà che molto volte si vuol presentare al resto del mondo.

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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