Recensione – Matteo Garrone presenta a Cannes il suo “Racconto dei racconti”. Liberamente tratto da tre fiabe di Gianbattista Basile, il film è un esercizio di stile del regista impregnato di sangue, carne, pelle, assenza di sentimenti, e ricco di vizi. Con una magnifica scenografia rappresentata dalla natura e dai castelli italiani, Garrone centra l’obiettivo di un fantasy sui generis, molto pop e piuttosto pulp.
C’era una volta un regno… anzi tre regni vicini e senza tempo, dove vivevano, nei loro castelli, re e regine, principi e principesse. Un re libertino e dissoluto. Una principessa data in sposa ad un orribile orco. Una regina ossessionata dal desiderio di un figlio. Accanto a loro maghi, streghe e terribili mostri, saltimbanchi, cortigiani e vecchie lavandaie sono gli eroi di questa libera interpretazione delle celebri fiabe di Giambattista Basile.
“Il racconto dei racconti” è in concorso a Cannes e il suo regista, Matteo Garrone ha un buon rapporto con questo festival, tutto potrebbe far presagire a un buon risultato anche quest’anno, ma il film merita di esaudire le alte aspettative? E’ questa la domanda che purtroppo, durante la visione, il film si porta dietro almeno all’inizio perché poi lo spettacolo che lentamente si colora rapisce lo spettatore e lo incastra nella vicenda come protagonista senza voce ma con molte sensazioni e sentimenti.
Garrone, coadiuvato da un cast internazionale stellare (Salma Hayek, John C.Reilly, Toby Jones, Vincent Cassell) intraprende una sfida: riportare il fantasy come genere di produzione italiano. La sfida è vinta a pieni voti e il regista aggiunge qualcosa in più. Le fiabe, intervallate da un montaggio mai banale, non si spiegano, vengono vissute dall’interpretazione dei protagonisti. Le immagini parlano più delle parole usate per spiegare gli eventi e il regista mette a nudo letteralmente le caratteristiche dell’animo umano e del vizio o del difetto che di volta in volta è sotto i riflettori.
Una regina che vuole avere un figlio senza curarsi dell’affetto verso il re e verso il figlio stesso ma solo per un suo egoismo di avere e sentirsi madre, una principessa che non riceve l’affetto e le attenzioni dovute data in dono come fosse una cosa solo per uno stupido gioco, due sorelle ripiegate talmente su se stesse da far di tutto per perseguire la bellezza. Tutto questo è la chiara indicazione della netta prevalenza dell’apporto femminile alla vicenda, di come i legami verso le cose sia più forte rispetto a quello che pian piano invece affiora nei rapporti umani. Quanto letteralmente è sotto pelle è diverso da quanto narrato in superficie e nel corso del film si rivela con le immagini di carne, pelle e sangue, tanto sangue che attraversano trasversalmente le tre vicende.
Movimenti di macchina molto azzeccati e a tratti virtuosi, anche se personalmente avrei preferito anche qualche piano sequenza in più e più lungo. Scenografie naturali fantastiche, effetti speciali digitali che solo in poche occasioni appaiono un po’ posticci facendo risaltare ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, gli effetti meccanici e scenografici reali di cui gli italiani sono stati e sono ancora strabilianti maestri.
Le interpretazioni degli attori sono molto convincenti, benché non abbiamo potuto valutare il film in lingua originale, e in questo caso è l’inglese pur essendo un film quasi totalmente italiano, come non notare la perfetta corrispondenza tra l’attore e il personaggio che interpreta. Salma Hayek è la regina che ti aspetti, Vincent Cassell il re che mi sarei aspettato e Viola, la principessa della terza fiaba, Babe Cave è un’attrice emergente da tenere in considerazione perché dotata di gran talento messo in mostra anche in questo film.
Dalle note di produzione del regista, per sua stessa ammissione i riferimenti cinematografici sono a “La maschera del demonio” di Bava, al “Pinocchio” di Comencini, al “Casanova” di Fellini e a “L’armata Brancaleone” di Monicelli. Noi aggiungiamo anche degli evidenti riferimenti, nello stile e nelle intenzioni alle sue precedenti opere che anticipavano quanto si vede in questo film. L’horror de “L’imbalsamatore” si fonde al fantasy reale di “Reality” ripercorrendo “Gomorra” come una triste favola nera. In fin dei conti questo fantasy di Garrone è intriso di carne, pelle e sangue tanto da renderlo più rosso che noir virando ad atmosfere pulp e pop che si servono dell’horror nelle immagini.
“Il racconto dei racconti” si presenta con un trailer dai toni epici anche grazie alle musiche del premio Oscar per “Gran Budapest Hotel” Alexandre Desplat. Musiche perfette per tutto il film, mai invadenti e spesso completamento e sottolineatura della trama stessa. Se il trailer porta all’epicità delle fiabe, in realtà di favoloso nel film non ci sono né eroi né cavalieri o principi a cavallo, c’è invece l’umanità, con alcuni suoi difetti, esposti ai nostri occhi, ben visibili che letteralmente pulsano la loro presenza. Un buon film, un ottimo intrattenimento, una grande prova del regista Garrone.
Voto 7,8