Recensione – Borat – Seguito di film cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan è il titolo del secondo capitolo delle avventure del giornalista kazako Borat Sagdiyev partorito dalla mente di Sacha Baron Cohen. Il film è stato inserito nel catalogo di Amazon prime Video il 23 ottobre 2020. Oltre ad entrare nel Guinness dei primati per il film con il titolo più lungo ad essere stato nominato per un premio Oscar, questa seconda opera satirica non si distingue molto dalla sua versione precedente. Vediamo perché.

La storia si ripete

Borat torna a stravolgere la quotidianità del popolo americano nel secondo capitolo della storia ideata e interpretata dall’attore britannico Sacha Baron Cohen. Come visto già nel primo capitolo, Borat parte per l’America con un pretesto politico: riavvicinare il proprio paese e quello statunitense. Il nuovo mockumentary, diretto stavolta da Jason Woliner, presenta un protagonista assolutamente identico a quello del 2006, nonostante gli anni di prigionia che gli hanno causato le sue brutte esperienze americane.

Borat è sempre lo stesso, dunque, e la sua missione questa volta è quella di consegnare una scimmia dalle doti particolari in dono al vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, al fine di rimediare i danni procurati con la prima spedizione in suolo americano. Il suo viaggio, come si può ben immaginare, subirà delle complicazioni, soprattutto legate alla figlia Tutar (Maria Bakalova), che decide di seguire il padre nonostante lo stesso glielo avesse proibito. L’America che Borat trova non è la stessa di anni fa: tutti lo conoscono per la notorietà che ha acquisito nel web in seguito alle sceneggiate del 2006, la presidenza Trump si riflette nel modo di pensare del popolo e il Covid-19 minaccia il paese.

Borat Subsequent Moviefilm
Courtesy of Amazon Studios

Un colpo a vuoto

Questa seconda opera avrebbe dovuto sopperire alla perdita di originalità con una struttura e delle gag comiche studiate con maggior precisione, ma purtroppo non riesce nell’obiettivo. La sceneggiatura della seconda storia di Borat sembra suggerire che Sacha Baron Cohen avesse poco tempo a disposizione per scrivere e girare questo secondo film, nonostante i molti anni tra il primo e secondo. Ciò si deve probabilmente ai molti eventi avvenuti nel 2020, sui quali il film si basa.

Le parti del film legate al tema del Covid-19 e del relativo negazionismo si inseriscono in un’ottica di critica ai costumi americani, senza però evocare nello spettatore particolare ilarità e senza provocare una discussione innovativa ed efficace. Il mondo del web è diventato negli ultimi anni fucina di ironia sociale e politica, e nel vasto panorama di satira che è nato, Borat non riesce a proporre qualcosa di nuovo, fresco e accattivante come fece nel 2006. In questi 14 anni il mondo è cambiato mentre Borat no.

La struttura cinematografica di Sacha Baron Cohen decide di non mutare e di continuare a indagare attraverso gli occhi ignoranti ma genuini di un personaggio che nonostante sia stato all’avanguardia, ora è largamente superato. La derisione del politically correct è una forma di satira che ormai si pratica abitualmente, e questo nuovo film che vede Borat protagonista, non aggiunge nulla di nuovo.

Sacha diventa Borat

Sacha Baron Cohen non ha certo girato il film con più cautela rispetto al primo ma ha decisamente esagerato: oltre ad aver partecipato ad un congresso repubblicano travestito da membro del Ku Klux Klan, si è introdotto in un comizio del vicepresidente Mike Pence travestito da Donald Trump, ha vissuto realmente nella stessa casa di negazionisti del Covid-19 come Borat a causa della quarantena e ha inneggiato con una canzone all’estrema destra davanti ad un pubblico appagato dalla situazione, sebbene poi capirne l’ironia e costringere l’attore alla fuga.

Il film è stato attaccato su più fronti ed è tuttora al centro di numerosi casi legali: un’iniziativa intende convincere le giurie dei vari premi cinematografici statunitensi a boicottare la pellicola, in quanto rappresenterebbe una derisione della cultura kazaka, oltre ad essere (secondo un’altra associazione) un’opera di derisione dell’Olocausto e dell’intera cultura ebraica.

Prove attoriali e riconoscimenti

Oltre alla già nota abilità di Sacha Baron Cohen di recitare in bilico tra la soglia dell’accettabile ignorante e dell’assurdo pagliaccio, si manifesta a sorpresa la stessa abilità nell’attrice bulgara Maria Bakalova che interpreta la figlia Tutar. La ragazza è probabilmente la nota migliore del film: unica vera differenza con il film precedente, catalizza le migliori gag presenti nei 96 minuti, liberando Borat di molti compiti comici.

Il film è candidato all’oscar per la miglior sceneggiatura non originale e ha ricevuto la nomination anche la Bakalova per la statuetta alla miglior attrice non protagonista. La parte davvero interessante è appunto rappresentata da Tutar, la figlia del giornalista kazako che decide di seguire il padre, ritenendo giusto e normale vivere come un’animale in gabbia e nella sporcizia, senza alcun diritto. Il suo sviluppo personale si accompagna alla scoperta della società comunque patriarcale americana: Tutar prende a modello Melania Trump, ma con lo scopo di diventare regalo sessuale gradito a Pence prima e Giuliani poi.

Lei si trasforma però in una giornalista sicura di sé e conscia dei propri diritti. La maschera migliore che il film offre è questa: non solo un personaggio che cambia in relazione al contesto culturale in cui si trova, bensì una maschera che cade sostituita da un’anima di donna moderna, forte e sicura, inserita in una società patriarcale evoluta, ma non risolta. La forza caratteristica del personaggio costruito da Cohen è invece costante e vincolante: il suo ignorante sguardo sul mondo che ne rivela le assurdità e le contraddizioni; quest’emblematica visione disincantata della società si depotenzia molto a causa appunto dell’incapacità di mantenere la sua originalità dopo 14 anni.

Voto: 5,9

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