Recensione in anteprima – Venezia 75 – In concorso – Carlos Reygadas porta al lido un film da lui scritto, diretto e interpretato. Inoltre, la famiglia presente nel film è composta dalla moglie e dai figli del regista, tutti alla prima prova attoriale. Con ciò egli dimostra fin da subito le sue intenzioni circa l’espressione di un cinema personale, costruito con maestria e dotato di poetica familiare

Moglie e marito, tra poesia e tori

Juan (Reygadas) e Esther (Natalia Lopez) vivono nella campagna messicana allevando tori da combattimento. Lui è un poeta di fama mondiale, che ama il ranch di famiglia e lavora sodo. La moglie Esther collabora con lui, anche lei ottimamente inserita nell’allevamento degli animali. Tra i due viene presto spiegato come sia stato stretto un “patto”; infatti Esther ha il permesso da parte di Juan di vivere avventure sessuali con altri uomini, a patto che lei sia sempre onesta con lui, senza mai mancare di informarlo su queste trasgressioni.

Il rapporto tra i due si incrina, nonostante questa visione liberale del marito, quando egli si accorge che la moglie per la prima volta mente su una relazione, mettendo in discussione il loro accordo, in quanto Juan capisce che da parte della moglie è nato un sentimento nei confronti dell’amante.

Un cinema prepotente nello stile, mancante nella scrittura

Il rapporto di coppia e il diverso intendere l’amore e il legame coniugale, viene frammentato, decriptato e studiato da Reygadas. Egli dimostra ancora una volta la propria regia solida, concreta e saggia (il suo precedente film “Post Tenebras Lux” gli valse la palma per la miglior regia al festival di Cannes del 2012).

Il prologo della vicenda tratta dei giochi di un gruppo di bambini in un lago di fango, del rapporto conflittuale tra maschi e femmine, la scoperta della sessualità in adolescenza. L’analogia elementare fra il comportamento dei tori e il relativo addomesticamento con il rapporto tra moglie marito e amante fortunatamente non polarizza il film in quella che sarebbe potuta sembrare una banalità. Reygadas infatti ci regala sequenze magistrali in grado di metaforizzare i sentimenti di marito e moglie.

Su tutte si citano: la scena in cui un toro adirato sventra un mulo con le proprie corna, il concerto per timpani e la sequenza in cui ci vengono mostrate delle vetrate a mosaico; infine il momento migliore del film, per poetica e per struttura, è quello in cui marito e moglie, lei in auto e lui a cavallo, sotto una pioggia fitta corrono paralleli accompagnati da Carpet Crawlers dei Genesis.

Il film pretende a volte troppo dallo spettatore, sebbene la regia regga per tutta la sua durata, la scrittura non sortisce lo stesso effetto. Le quasi tre ore di proiezione finiscono per appesantire eccessivamente lo spettatore, provando sia a livello fisico che mentale (e sentimentale).

Quando l’uomo perde il controllo. Controllo che un toro non ha

In una mostra del cinema caratterizzata da grandi interpretazioni femminili, Reygadas spezza quest’indirizzo mostrando la profonda sensibilità e ricerca di comprensione da parte di un ranchero poco tradizionale, in un film di impronta chiaramente maschile, ma mai maschilista.

Si tratta di uno scontro personale del protagonista, contro la propria moglie che cerca una via per l’adattamento ad una vita che probabilmente non sente sua fino in fondo; contro un amante sfortunato nel trovarsi in mezzo ad un rapporto che non può comprendere; e soprattutto contro se stesso, contro un poeta che vorrebbe essere in grado di controllare le emozioni che prova e che provano i suoi familiari, cercando di capire, di farsi capire. In lotta con l’istinto primordiale di un toro, per il territorio, per se stesso, per il proprio sentimento.

Le migliorie che si sarebbero potute adottare per il film sono legate alla durata, molte scene infatti si sarebbero potute tagliare senza che esso perdesse di qualità. Nonostante le migliori sequenze dell’opera siano tra quelle che apparentemente non alimentano la trama.

La visione aerea di tutta Città del Messico dovrebbe venire utilizzata come esempio di stile e di regia da chiunque voglia sperimentare una visione a volo d’uccello.

In conclusione alla kermesse veneziana ci si pone un quesito: quest’opera si sarebbe potuta aggiudicare un riconoscimento importante, se Reygadas non fosse anch’egli connazionale di Del Toro, come Cuaron? Per chi scrive, la risposta è decisamente: si.

Voto: 7.5

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