Recensioni in anteprima – Venezia 76 – Fuori concorso – Diretto con intelligenza dalla regista Lauren Greenfield, “The Kingmaker” è un interessante documentario che, focalizzandosi sulla figura dell’ex first lady Imelda Marcos, traccia un preoccupante spaccato delle vicende politiche delle Filippine dalla dittatura a oggi. Da vedere.
Incentrato sull’indomita personalità di Imelda Marcos, il documentario esplora con uno sguardo senza precedenti l’improbabile ritorno al potere della famiglia Marcos nelle Filippine. Il film indaga l’inquietante retaggio del regime di Marcos e documenta le pressioni esercitate da Imelda nel tentativo di far ottenere la vicepresidenza al figlio Bongbong. Per raggiungere il suo scopo, Imelda riscrive disinvoltamente la storia di corruzione della sua famiglia sostituendola con la narrazione dell’amore stravagante di una matriarca per il proprio Paese.
Il racconto di una dittatura
Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il documentario di Lauren Greenfield è una delle opere più acute e interessanti del festival. Focalizzandosi principalmente sull’iconica figura di Imelda Marcos, il film racconta in parallelo gli anni della dittatura, tramite interviste e materiali d’archivio, e il grottesco e inquietante ritorno della donna sulla scena politica degli ultimi anni, tracciando così il preoccupante ritratto di un Paese che sembra non aver imparato nulla dagli errori del passato.
I media internazionali non si sono mai occupati più di tanto delle vicende politiche delle Filippine. Eppure quella di Ferdinand Marcos è stata una dittatura lunga e terribile, caratterizzata da corruzione, appropriazioni indebite, messa al bando degli oppositori e limitazioni delle libertà di stampa, fino ad arrivare all’imposizione della legge marziale, alle torture ai danni dei contestatori, agli omicidi politici. Per decenni i Marcos hanno utilizzato le risorse dello Stato come se fossero beni personali, accumulando ricchezze spropositate e lasciando in ginocchio il Paese.
Passato e presente
Ciò che rende interessante il documentario della Greenfield, però, è il parallelismo tra passato e presente. Perché a distanza di quasi vent’anni dalla rivolta popolare che ha portato alla caduta del regime, Imelda Marcos è ritornata in patria con l’obiettivo di spianare la strada al figlio Bongbong, candidato alla vicepresidenza nel 2016, lanciarne la carriera politica e riportare così in auge il nome della sua famiglia. Una situazione che ha del grottesco e del paradossale, se non fosse tristemente vera. E che dimostra da un lato l’abilità politica di Imelda, capace alla veneranda età di novant’anni di tramare ancora dietro le quinte, e dall’altro l’incapacità del Paese di elaborare la sua storia passata: sono davvero inquietanti le scene in cui, alla domanda su cosa sanno della dittatura di Marcos, i ragazzini di una scuola rispondono che si trattava di un’epoca in cui si viveva molto meglio.
L’alternanza tra i due focus del racconto – il passato e il presente – consente tra l’altro alla Greenfield di sottolineare con maggiore evidenza certi concetti: le dichiarazioni nel presente di Imelda, che presenta se stessa come una vittima, una donna piena di buone intenzioni che vorrebbe fare da madre al mondo intero, vengono infatti continuamente smentite dai materiali d’archivio e dalle testimonianze degli altri intervistati (giornalisti e oppositori politici, alcuni dei quali vittime di tortura). Questa forma di montaggio sottolinea efficacemente l’assurdità delle affermazioni della donna e della sua visione del mondo basata sulla negazione dell’evidenza, e rende ancora più incredibile la sua capacità di essere tornata alla ribalta tramite il populismo più becero, nonostante tutto. Significativa in questo senso la prima scena del film, in cui si vede Imelda, ferma ad un semaforo, consegnare banconote a dei bambini dal finestrino della sua auto.
Un film necessario
Un fatto interessante e poco noto cui la Greenfield dedica molto spazio è la vicenda legata alla decisione di Imelda, negli anni della dittatura, di spopolare un’isola allo scopo di importare animali dall’Africa per creare un parco safari. Dopo la caduta del regime i legittimi abitanti dell’isola sono ritornati nelle loro case ma ancora oggi si ritrovano a convivere con questi animali, che sono stati completamente abbandonati a loro stessi. Come dichiarato dalla regista, “la storia della sofferenza di questi animali simboleggia la triste condizione del popolo filippino, obbligato a farsi strada sotto il peso dell’eredità lasciata da decenni di corruzione”.
“The Kingmaker” è dunque un film interessante e in un certo senso necessario, perché colma un vuoto colpevolmente lasciato dai media internazionali. Uno dei film più belli di questa Mostra del Cinema. Da vedere.
Voto: 8