Recensione in anteprima – Venezia 75 – In concorso – Mario Martone torna al cinema con Capri-Revolution per raccontare la potenza magnetica di un luogo straordinario per tutti coloro spinti dal richiamo della libertà agli inizi del Novecento, quando si incrociano i destini di una giovane capraia, di un artista tedesco e le sue utopie e di un giovane medico. Immagini poetiche e personaggi fortemente caratterizzati per un film dai molteplici spunti che però appesantiscono lo svolgimento della storia senza trovare completo sviluppo. Presentato alla 75a Mostra del cinema di Venezia, sarà in sala dal 20 dicembre.

Una storia di cuoriosità

Capri, 1914. Lucia (Marianna Fontana) si arrampica tra le rupi e gli alberi insieme al suo gregge di capre e vive in una piccola casa insieme al padre malato, alla madre e a due fratelli maschi. Sull’isola fa scandalo una comune di giovani europei guidata dall’artista tedesco Seybu (Reinout Scholten van Aschat) dedita all’utopia di una vita radicalmente libera. Intanto arriva anche il giovane medico Carlo (Antonio Folletto) socialista e convinto interventista. I loro destini si incroceranno in un luogo ipnotico e unico mentre la Grande Guerra è alle porte.

Mario Martone torna al cinema dopo “Il giovane favoloso” e, dopo la poesia, si fa ispirare (insieme alla moglie Ippolita Di Majo, co-sceneggiatrice insieme a lui) dall’arte. Sceglie infatti di raccontare la vicenda del pittore tedesco Karl Diefenbach e della comune da lui animata dal 1900 al 1913 a Capri.

Osteggiato in patria per le sue teorie teosofiche e antimilitariste, la pratica del nudismo e del vegetarianismo, Diefenbach si trasferisce sull’isola per recuperare il rapporto con la natura, soprattutto attraverso la danza, alla ricerca di un locus amoenus che fosse reale. Scombinando ulteriormente i piani temporali, alla figura di Diefenbach Martone sovrappone anche quella di Joseph Beuys e la sua arte performativa e concettuale (citando espressamente l’opera Capri Batterie, titolo provvisorio del film), e vi affianca l’esperienza svizzera della coreografa tedesca Ida Hofmann sul Monte Verità.

capri batterie regia mario martone foto di scena mario spada

Sete di libertà

Ad accomunare queste personalità a una semplice capraia è la sete di libertà, il desiderio, o meglio il bisogno, di liberazione. Lucia incarna lo spirito primigenio dell’isola con il suo accompagnare tra i massi il gregge, risoluta e orgogliosa, in un rapporto simbiotico con la natura di cui scopre la potenza infinita e sconvolgente grazie all’incontro con Seybu.

È proprio lui che, in risposta al medico socialista e scettico nei confronti dei suoi ideali radicali, afferma:

“Gli uomini non vengono al mondo per diventare migliori ma per essere se stessi”.

Lucia cede al richiamo dell’utopia di Seybu vedendo in essa la dimensione per potersi finalmente emancipare, socialmente, culturalmente e nei costumi, da una madre amorevole ma troppo remissiva (Donatella Finocchiaro), dal gretto maschilismo dei fratelli e in generale da una cultura retrograda e opprimente, per scoprire la sua vera essenza di essere umano complesso e pensante e le sue potenzialità di donna.

Resta, ma solo in lontananza, l’attrazione per gli ideali progressisti incarnati dal medico del paese che aveva proposto a Lucia di diventare infermiera, provando a coinvolgerla nell’entusiasmo interventista che lo porterà ad arruolarsi volontario al fronte. Lucia è allora il ritratto di una donna coraggiosa, forse di un’idea, costantemente en quête, un’isola mobile alla ricerca di se stessa in un mare sempre diverso, alla scoperta di un nuovo mondo.

… sogno o realtà.

Come si legge nelle note di regia

“ogni cosa in questo film è solo e semplicemente sognata”.

Evidentemente la verosimiglianza non è ciò che  interessa a Martone e Capri-Revolution diventa allora invito, auspicio a riflettere e a interrogarsi su temi sempre attuali attraverso dei personaggi-simbolo.

Questa missione sembra però perdere forza di fronte a protagonisti che incarnano posizioni nette, si affrontano in dialoghi (fin troppo)  perfettamente argomentati, evolvono senza battute d’arresto (nella comune Lucia, da analfabeta, impara rapidamente a leggere e a parlare in inglese; gli scambi tra Seybu e il dottore avvengono in un inglese internazionale che all’epoca non esisteva ancora) destabilizzando lo spettatore e perdendo di empatia, anche a causa di sequenze a volte eccessivamente lunghe e didascaliche e interpretazioni e situazioni a tratti forzate.

Troppi elementi e spunti non trovano il giusto sviluppo nello svolgimento della storia in cui si muovono personaggi fortemente caratterizzati ma privi di un effettivo spessore in grado di coinvolgere e lasciare il segno.

Voto: 5,9

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