Recensione in anteprima – Alberto Fasulo con il suo “Menocchio” ci regala il ritratto di un uomo perseguitato dalle catene ideologiche della storia, in una vicenda che si rivela essere specchio dell’oggi. Il film è formato da un cast quasi per intero di vere persone del popolo. prese dalle valli del Friuli dove Menocchio realmente visse, terra dello stesso regista. Al cinema dall’8 novembre.

Inquadramento storico – vivere nella Controriforma

Il volto dell’Europa cambiò radicalmente agli inizi del ‘500, in seguito alla Riforma Protestante e al conseguente Scisma ideologico dalla Chiesa Cattolica, dopo la promulgazione delle ormai famose 95 tesi, affisse secondo tradizione da Martin Lutero sulla porta della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg, cittadina nella Sassonia-Anhalt sul fiume Elba, inserita nel 1997 dall’UNESCO nella lista dei Patrimoni dell’Umanità.

Le basi che mossero Lutero furono un recupero dell’originaria cristianità, con un ritorno a una Chiesa non di ricchezza, ma di anime e di vera accoglienza, riportando in cima all’ortodossia e alla fede l’azione di Dio, dello Spirito Santo e la forza delle opere di misericordia terrene, oltre ogni venalità incapace di fornire una vera salvezza. Il papato condusse allora una vera e propria lotta per l’egemonia sulle anime dei fedeli, e per un totale controllo sulle coscienze, dopo il Concilio di Trento, che durò dal 1545 al 1563.

Si creò una vera caccia all’infedele e all’eretico, ad opera dell’Inquisizione Romana, fra le cui vittime illustri ci furono Galileo Galilei e Giordano Bruno, mentre un capitolo a parte si rivelò essere la caccia alle streghe (di cui romanzo esemplare può essere visto “La Chimera” di Sebastiano Vassalli, pubblicato nel 1990 e ambientato nei dintorni di Novara fra il 1590 e il 1610).

Menocchio – ribelle alla ricerca della libertà

Alberto Fasulo porta avanti un pensiero simile a quello esemplificato da Sebastiano Vassalli, per cui, come si legge nella premessa appunto a “La Chimera”,

“Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco» che oggi non si vede”.

Con il suo “Menocchio” ci regala il ritratto di un uomo perseguitato dalle catene ideologiche della Storia, in una storia che si rivela essere specchio dell’oggi.
Andando infatti alle radici del passato, per la prima volta dopo tre documentari ambientati nel presente, ciò che il regista ci vuole fornire non è tanto un documento di storicità, bensì un ritratto simbolico di ciò che la libertà di pensiero e di ideali può provocare nel cortocircuito con l’autorità politica, religiosa o statale.

Basandosi su documenti reali d’archivio e su una ricerca autentica dei processi dell’Inquisizione, che portarono Domenico Scandella, detto amichevolmente Menocchio, mugnaio friulano di Montereale, alla condanna di eresia e alla successiva morte sul rogo, agli albori del ‘600, ci racconta un uomo colpevole di aver cercato una via indipendente all’ideologia della fede dominante sul mondo, e da una Chiesa cieca alle vere esigenze di una comunità alla ricerca di libertà e di uguali diritti e parità di ricchezze.

Attraverso l’interiorità dell’umano

Scegliendo di puntare su una figura minore della grande Storia, per la prima volta messa in luce da Carlo Ginzburg nel saggio “Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500”, pubblicato nel 1976, Alberto Fasulo va diritto all’animo umano e alla coscienza di Menocchio e della sua comunità.

Il film è formato da un cast quasi per intero di vere persone del popolo, fra cui spicca per carica emotiva e attoriale il protagonista Marcello Martini, volto di Menocchio, prese dalle valli del Friuli dove Menocchio realmente visse, terra dello stesso regista. Così Alberto Fasulo dà ai protagonisti delle vicende, non forniti di un vero copione, da subito la libertà di identificarsi e di calarsi personalmente nei personaggi da rappresentare, modellando il proprio vissuto con la Storia.

Visivamente dominano ombre e buio, in una poetica del chiaroscuro dialogante più delle stesse parole, su esempio di Rembrandt, pittore olandese coevo alla Controriforma, e luci reali prese dalla natura, mentre l’autenticità di ripresa e di rappresentazione diventa la molla portante della narrazione.

Come già fatto fin dal primo documentario del 2010, “Rumore Bianco”, in cui ci si muoveva sulle sponde del Tagliamento per indagare la vita e la natura dello spirito del fiume, culla di memorie e di sentimenti, costruendo tutto in presa diretta, nulla vi è di forzato o di artificiale nella narrazione di Alberto Fasulo, che punta al cuore dei suoi protagonisti.

Molta attenzione viene data anche alla lingua del popolo, autentica e vitale rappresentazione dell’essenza dell’umano, in alternanza fra italiano, volgare friulano e latino, emblema di una chiesa privata di ogni possibile alone di potere e di sacralità.

Ritrarre la Storia per inquadrare il presente

Siamo risucchiati in una storia dunque di uomini comuni come fu Menocchio, colpevole di voler spingere all’estremo la sua curiosità e il suo sguardo, in cui tutti noi veniamo interiorizzati e immersi, senza badare alle inevitabili conseguenze derivanti dalla sua ribellione. La sua personale Cosmogonia, nata dall’osservazione del cagliarsi del latte e dal formarsi dei vermi nel formaggio, mal si confaceva con la dottrina cattolica.

Dal caos primordiale in cui erano compressi Spirito e materia indistinta sarebbero usciti, secondo Menocchio, come dal latte, in forma di angeli e dello stesso Dio, le Entità ordinatrici del mondo e i suoi elementi naturali: aria, terra, acqua e fuoco.

Per Menocchio il Paradiso era vedere un bambino che corre vicino all’argine di un fiume, nella sua gioia innocente di fronte alla vita; il peccato lo aveva creato la Chiesa con la sua sete avida di ricchezza, perdendo così ogni reale legame con la comunità. Il finale vira verso l’onirismo, con un carnevale simbolo delle conseguenze di derisione e non comprensione, derivanti dalla sua scelta obbligata dell’abiura, non sufficiente a salvarlo da un secondo processo dopo quindici anni e dalla definitiva morte sul rogo, dopo decapitazione, nel 1599.

Libertà di vivere nell’oggi

Il film si conclude con l’abiura, ma in dissolvenza siamo portati con scritte in sovrimpressione alla condanna definitiva e con essa al nostro presente. Difendere e dialogare sulla libertà è sempre stata una prerogativa per Alberto Fasulo, sia che si tratti della scelta fra un lavoro libero, seguendo la passione, e una professione alienante, ma con paga più alta, che possa permettere vita agiata.

Come si vede in “Tir” del 2013 – vincitore del Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film al Festival internazionale del cinema di Roma -, o dello staccarsi dai pregiudizi della comunità, per poter essere veramente se stessi nell’unità familiare, nonostante la disabilità, fulcro del suo secondo film, “Genitori”, del 2015 – che aveva partecipato in fuori concorso al festival del cinema di Locarno, dove quest’anno il regista è tornato in concorso con “Menocchio” -.

Nell’era odierna della ricerca a tutti i costi del consenso facile a suon di post su Facebook, “mi piace” e tweet rapidi e incisivi, di una società che ci porta a identificarci con la massa a discapito di una personale libertà di pensiero, spesso costretti al silenzio per vivere in pace, cercando di scampare agli attentati che quasi ogni giorno vengono commessi per il predominio di una qualche ideologia, estremamente importante risulta rivalutare il vissuto di Menocchio, semplice mugnaio alla ricerca di una fuga dalla prigione della società.

Voto: 7,5

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